Rispetto ad altri titoli verdiani Luisa Miller non ha mai incontrato pieno favore popolare né è riuscita a trovare un posto stabile nella programmazione dei teatri, anche se è un’opera moderna e innovativa capace più di altre di toccare le corde del pubblico d’oggi. Giusta la scelta del Carlo Felice di metterla in cartellone affidandone la regia a un cantante che del ruolo del vecchio Miller ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia: Leo Nucci. Ancora più meritevole il progetto di coinvolgere attivamente (con l’ausilio di ottime guide all’ascolto appositamente scritte per un pubblico giovane) una moltitudine di giovani per favorire il nascere di una nuova generazione di spettatori abituali.
Come si può intuire Leo Nucci dà un taglio decisamente tradizionale alla regia che si vuole rispettosa delle intenzioni di Verdi e di quanto fornito dal libretto: nessun stravolgimento all’impianto drammaturgico dunque e una disposizione scenica per lo più frontale (“vecchio stile”diremmo) per favorire al massimo la resa vocale. Coerente con la regia l’impianto scenico di Rinaldo Rinaldi, che utilizza pannelli mobili dipinti di gusto oleografico espressione di un buon teatro artigianale. Le quinte dipinte sono funzionali ai veloci cambi di scena con una soluzione di continuità nell’alternanza di interni (casa Miller/castello) ed esterni, dove assume particolare rilievo il dolce paesaggio collinare di alberi frondosi e verdi prati inquadrato da casa Miller e il giardino pensile del castello. In primo piano restano fissi in tutti e tre gli atti un tavolo e due sedie intorno a cui si focalizzano i momenti clou dal punto di vista dello sviluppo drammaturgico: la scrittura della lettera e la scena della tazza col veleno. L’opera infatti, che si svolge in una sola giornata, si apre e si chiude con la stessa immagine per dare circolarità al dramma segnando il passaggio dalla vita alla morte.
Scene, luci (Claudio Schmid) e costumi (Alberto Spiazzi) schematizzano un sistema di opposizioni: colori caldi per evocare il mondo degli affetti e tinte fredde per suggerire quello dell’intrigo. In un'opera romantica ricca di contrasti e chiaroscuri le luci svolgono un ruolo importante e nell’allestimento risultano funzionali per dipingere la serenità dell’idillio iniziale, si annullano generando il buio assoluto nel momento della confessione estorta, si oscurano lentamente per accompagnare l’ultima preghiera. Il gioco di opposizione visiva chiaro/scuro coinvolge efficacemente anche le masse che si contrappongono nel coro del concertato finale del primo atto.
La Luisa Miller di Anna Pirozzi si apprezza da subito per doti timbriche ma trionfa per la capacità di tratteggiare con il canto l’evoluzione del personaggio e di risolvere con uguale bravura le colorature brillanti e le pagine più spinte e drammatiche. Nelle repliche il ruolo di Miller è stato interpretato dal giovane coreano Mansoo Kim che si sforza (sulle orme di Leo Nucci che, oltre ad avere curato la regia, ha cantato alla prima) di curare il fraseggio e scandire le parole per definire il personaggio: il potenziale vocale c’è, restano da affinare tecnica e stile. Giuseppe Gipali non ha ancora il peso vocale richiesto per Rodolfo e la voce stenta a “passare” l’orchestra; tuttavia la prova migliora nel corso del dramma e in particolare in “Quando le sere, al placido” dove rivela ottime intenzioni liriche. Il Conte Walter di Carlo Colombara incute timore per la presenza scenica e l’ampia voce scura. Il Wurm di Giovanni Battista Parodi è vocalmente corretto, ma dal punto di vista interpretativo risulta poco insinuante. Una piacevole sorpresa la Federica di Daniela Innamorati dalla voce musicale e omogenea nei passaggi. Concludono il cast la Laura di Margherita Rotondi e il Contadino di Giampiero De Paoli. Buona la prova del coro preparato da Pablo Assante.
Andrea Battistoni è figura controversa: piace perché giovane e temperamentoso e al tempo stesso non piace per lo stesso motivo. Che sia un direttore trascinante è indubbio e, seppur la direzione sia un po’ sopra le righe, tiene in pugno l’orchestra che risponde precisa anche nei momenti più concitati. La lettura impetuosa si addice a dipingere una situazione romantica da amore/morte ma ha dei limiti nelle pagine più elegiache e bucoliche.
Nella recita pomeridiana infrasettimanale affollata di giovani entusiasti abbiamo registrato calorosi applausi rivolti a tutti ma soprattutto al direttore, divenuto un beniamino del nuovo pubblico e “costretto” a firmare autografi in buca nell’intervallo.