Lirica
LUISA MILLER

UNA TOCCANTE LUISA FRA LE GEOMETRIE DELL’INTRIGO

UNA TOCCANTE LUISA FRA LE GEOMETRIE DELL’INTRIGO
Luisa Miller è un’opera poco rappresentata che, se pur mai completamente scomparsa dal repertorio e resa nota da primedonne che del ruolo di Luisa hanno fatto un cavallo di battaglia (come Montserrat Caballé o Katia Ricciarelli), non ha mai incontrato pieno favore di pubblico né è riuscita a trovare un posto stabile nella programmazione dei teatri italiani ed esteri. Giudicata opera di transizione fra “gli anni di galera” e la trilogia, segna qualcosa di nuovo nell’evoluzione artistica del compositore e ne anticipa i capolavori della maturità. Verdi, infatti, abbandonati argomenti storici ed epopee popolari, ricerca un registro più intimista e raccolto, volto ad approfondire la psicologia individuale e l’animo femminile in particolare, concentrandosi sul mondo degli affetti e dei rapporti privati, inseriti in un contesto sociale che anticipa quell’attenzione all’ambiente che sarà poi sviluppata in Traviata. A Torino è ora in scena la produzione con regia, scene e costumi di Denis Krief che aveva inaugurato il Festival Verdi 2007 a Parma. Lo spettacolo ha il merito di scorrere senza cesure, come un film, grazie a una struttura scenica flessibile dove pannelli scorrevoli ricreano le varie situazioni sceniche con una continuità efficace anche dal punto di vista drammatico. Il regista schematizza il sistema di opposizioni che caratterizzano l’opera scegliendo i colori caldi del legno e della terra per evocare la semplicità del mondo contadino, stretto attorno a un tavolo simbolo del focolare, che si oppone al gelo formale del nobile castello, uno spazio bianco asettico, delimitato da pareti attraversate da geometrie bianchi e nere in un gioco di pieni e vuoti che disegna una ragnatela piuttosto che l’intrigo di cui sono vittima tutti i personaggi. Se pur d’impronta minimale, lo spettacolo è raffinato a livello visivo: suggestive le proiezioni degli alberi frondosi agitati dal vento che sfumano in un paesaggio grigio e senza colori all’arrivo del Conte, come pure la croce disegnata sulla parete da volumi vuoti che si apre sull’orizzonte durante i rintocchi che accompagnano l’ultima preghiera. L’opera, che si svolge in un’unica giornata, si apre e si chiude con la stessa immagine declinata in modo diverso per dare un senso di circolarità al dramma segnando il passaggio dalla vita alla morte: le candeline sulla torta all’inizio, i ceri funebri alla fine. Dei personaggi quello di Luisa, interpretata da Fiorenza Cedolins, è il più vero: fa tenerezza quando gioca con aria sognante a fare castelli con i bicchieri vuoti rimasti sul tavolo dopo la festa e risulta toccante per come interpreta la vittima di un sistema basato sulla menzogna, travolta dagli eventi e colta nella sua fragilità di perdente, in calzettoni e vestaglia come una convalescente, con la testa reclinata sul tavolo di cucina. Rispetto alle recite parmigiane la voce è apparsa meno sontuosa, ma sempre ben articolata e capace di trasmettere tutto il patetico lirismo del personaggio. Inizialmente cauta, è andata in crescendo, spiccando per verità di accento nella preghiera “Tu puniscimi o Signore” e in “La tomba è un letto sparso di fiori”. Massimiliano Pisapia canta correttamente e la voce è solida, ma l’interpretazione rimane generica e priva di quella varietà di accenti necessari per tratteggiare il personaggio romantico di Rodolfo, che oscilla dal cieco furore all’estrema dolcezza. Di Alberto Gazale si apprezzano lo stile, la voce morbida e la linea di canto curata, tutti buoni presupposti per affermarsi come baritono verdiano, ma la figura del vecchio Miller richiederebbe maggiore maturità espressiva. Orlin Anastassov ha forte presenza scenica e il suo Conte Walter particolarmente autorevole e protervo è perfetto per lo sguardo malvagio e la voce inquietante. Ben risolto anche l’altro ruolo di basso affidato a Enrico Iori, Wurm altrettanto possente e cattivo. Barbara di Castri è una Federica di buona musicalità; completano il cast Katarina Nikolic (Laura) e Dominic Armstrong ( un contadino). Donato Renzetti ha diretto con sicurezza ed equilibrio la partitura verdiana, sottolineandone i contrasti nel rispetto del dramma, ma sempre attento alle esigenze del canto. Si poteva forse dare maggiore risalto ai Leitmotive strumentali che percorrono l’opera, come pure alle variazioni di atmosfera delle pagine sinfoniche. Buona la prova del coro, intonato e partecipe, preparato da Claudio Fenoglio. Un teatro pieno ha tributato alla fine un caloroso successo.
Visto il 18-04-2010
al Regio di Torino (TO)