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L’UOMO DELLA SABBIA

La classica modernità di Hoffmann

La classica modernità di Hoffmann

L'uomo della sabbia è uno dei testi più famosi di Hoffmann scritto nel 1815 e pubblicato nella raccolta Notturni. Un racconto che affronta con largo anticipo certi temi, quali l'inconscio e le sue sotterranee correnti (non a caso ispirerà a Freud il saggio Il perturbante) intrecciandolo con altri temi romantici quali l'automa, la replica meccanica della vita, scritto con un certo gusto gotico.

Il racconto vede  il giovane Nathanael alle prese con una figura terrificante della sua infanzia, l'uomo della sabbia, inventato dalla madre per indurlo all'obbedienza, che da bambino ha creduto di riconoscere in un collega del padre, il mostruoso avvocato Coppelius, ritenendolo responsabile della morte del genitore. Ora Nathanael crede di aver rivisto Coppelius in un venditore di barometri, un certo Coppola, rimanendone ossessionato. Non sarà questa ossessione a condurlo però alla follia (e alla morte) quanto l'amore per Olimpia, la figlia dello scienziato Spalanzani, nonostante sia fidanzato con Clara, sorella del suo amico Lothar, al quale racconta in lettera di Coppelius.

Luca De Bei approccia il racconto con un indovinato e ispiratissimo gusto per la fantasmagoria allestendo per lo spettatore  uno spazio scenico che lo accoglie, prima ancora di prendere posto, con una musica inquietante e un fumo che pervade palco e platea, inghiottendolo letteralmente nel respiro gotico del racconto originale.

La scena nera, vuota, immersa nella cortina di fumo e di incenso, è come scolpita dalle luci che illuminano (inquadrano?) 
angoli precisi del palco dal quale emergono delle figure, all'inizio fantasmatiche presenze, che presto si concretizzano nei personaggi del racconto.

Pur rispettando fedelmente il testo, De Bei lo riscrive per istillargli quella fluidità narrativa che gli manca. Mentre Hoffmann apre il racconto con tre lettere (due scritte da Nathanael e una di risposta di Clara)  per poi rivolgersi direttamente al lettore come autore arratore riportando indirettamente dialoghi e accadimenti dei suoi personaggi, De Bei distribuisce le tre lettere nel corso di tutta la narrazione e riassembla gli incisi dell'io narrante in una sofisticata ed elegante struttura narrativa che sembra lineare e semplice e invece è il frutto di un lavoro di riscrittura di notevole precisione. 

Oltre a Nathanael, Clara e suo fratello Lothar il regista mette in scena una quarta presenza, vera e propria materializzazione dell'io narrante - nella quale possiamo riconoscere Hoffmann stesso - che ora ascolta, ora commenta il racconto e i dialoghi degli altri personaggi sovrapponendosi ad essi, ripetendoli, o dicendoli per brevi attimi al posto loro.

Una mobilità del personaggio che De Bei affida a tutti gli attori. Ogni attore  infatti, interpreta più di un personaggio, in una staffetta narrativa che permette agli attori di impersonare anche gli altri protagonisti del racconto, da Coppelius a Coppola a Olimpia e Spalanzani.

De Bei gioca su diverse modalità narrative: i dialoghi diretti tra i personaggi,  le lettere dette da chi le scrive e commentate da chi le legge, mentre molte delle descrizioni del racconto danno adito in scena a discrete ma icastiche evocazioni visive (una spalla nuda che emerge da un vestito rosso per Olimpia, il trucco dell'attore prono su un nero piedistallo per fare sembrare che fluttui nell'aria quando Nathanael si getta dalla torre). Anche diversi oggetti del racconto compaiono in scena contribuendo a quell'atmosfera da fantasmagoria: un piccolo cannocchiale telescopico, una sfera che emana una luce rossa - a un certo punto unica fonte che illumina il viso di Hoffmann. Mentre le musiche, mai esornative, sostengono e amplificano le impressioni visive uditive e olfattive (l'incenso che spesso è bruciato in scena) che emergono di volta in volta dal buio. 
Una messa in scena così sofisticata funziona solo con un gruppo di attori uniti e capaci di passarsi il testimone con fiducia e umiltà.

Riccardo Francia impiega la dinamicità della sua voce con generoso eclettismo passando senza soluzione di continuità dall'autorialità di Hoffman - rintuzzando e glossando i passaggi narrativi più salienti - alla malvagità di Coppelius.
Giselle Martino, all'inizio un poco sfocata nell'interpretazione, si assesta su livelli notevoli a partire dal monologo della lettera di risposta che Clara scrive a Nathanael.

Fabio Maffei dà a Lothar tutta l'umana fragilità dell'amico e del fratello preoccupato, mentre Mauro Conte si dona corpo e anima al personaggio lasciandosi travolgere dall'ossessione e dal bisogno d'amore con cui Nathanael racconta di Coppelius e di Olimpia.

De Bei, che oltre a saper dirigere bene i suoi attori sa anche sceglierli altrettanto efficacemente, allestisce per loro una macchina drammaturgica che costituisce  una sfida performativa per ognuno di loro coinvolgendo l'inconscio degli interpreti ma anche quello del pubblico.
Il notevole spessore del testo viene restituito non già attraverso glosse interpretative che sottolineino la modernità del racconto con una modernità drammaturgica dell'allestimento ma mettendo in scena, con un preciso gusto filologico (anche nei costumi, splendidi)  l'essenza ottocentesca del testo, permettendogli di imporsi in tutta la sua contemporaneità proprio nella sua distanza storica.

Luca De Bei sembra voler rivendicare con questo allestimento de L'uomo della Sabbia, andato in scena nell'ambito dell'ottava edizione di LET Liberi Esperimenti Teatrali, la necessità per il teatro contemporaneo di cercare nei testi letterari del nostro passato delle perle dimenticate presentandole al pubblico come classici in grado di affiancare, o magari sostituire, i soliti nomi noti della storia del Teatro.




 

Visto il 16-03-2012
al Cometa Off di Roma (RM)