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L’UOMO DELLA SABBIA

Un nuovo allestimento dal notevole impatto emotivo

Un nuovo allestimento dal notevole impatto emotivo

Presentato già sotto forma di studio nell'ambito dell'ottava edizione di LET  Liberi Esperimenti Teatrali lo scorso Aprile L'uomo della sabbia torna in scena in una nuova edizione che conferma i risultati del primo studio e prosegue nell'esplorazione di una drammaturgia che coniuga il teatro di parola con quello visionario, onirico, immaginifico.

Il nucleo narrativo è un racconto scritto da Hoffmann nel 1815 nel quale, con largo anticipo sui tempi, si affrontano i temi dell'inconscio e delle sue sotterranee correnti  intrecciando il mostruoso che emerge dal ricordo di infanzia con altri temi romantici come la replica meccanica della vita - l'automa -, la malattia mentale e il conseguente ricovero in ospedale, il mostruoso che emerge dai sogni (cui si rifarà Freud nel saggio Il perturbante),  sviluppando un racconto caratterizzato da uno spiccato gusto gotico.

De Bei porta in scena il testo sottolineandone la modernità non già attraverso la modernità drammaturgica dell'allestimento ma con un preciso gusto filologico (anche nei costumi, splendidi),  che ne mantiene l'essenza ottocentesca, permettendo al racconto  di imporsi in tutta la sua contemporaneità proprio nella sua distanza storica.

Il racconto di Hoffmann vede il giovane Nathanael alle prese con  l'uomo della sabbia, una figura terrificante della sua infanzia,  inventata dalla madre per indurlo all'obbedienza, che Nathanael  da bambino ha creduto di riconoscere nel mostruoso avvocato Coppelius, un collega del padre, ritenendolo responsabile della morte del genitore.

Ora, giovane studente,  crede di riconsocere Coppelius in Coppola, un venditore di barometri, rimanendone ossessionato. A condurlo alla follia sarà però l'amore per Olimpia, la figlia dello scienziato Spalanzani, nonostante Nathanael sia fidanzato con Clara, sorella del suo amico Lothar, al quale racconta, in lettera, di Coppelius.

In questo nuovo allestimento restano invariati gli elementi di riscrittura che caratterizzavano il primo studio dove oltre a Nathanael, Clara e suo fratello Lothar De Bei mette in scena una quarta presenza, vera e propria materializzazione dell'io narrante - nella quale possiamo riconoscere Hoffmann stesso - che ora ascolta, ora commenta il racconto e i dialoghi degli altri personaggi sovrapponendosi ad essi, ripetendoli, o dicendoli per brevi attimi al posto loro.

Tutta la drammaturgia è caratterizzata da una moltiplicazione del personaggio che impegna ogni attore in una staffetta narrativa. Così Quando Nathaniel scrive la lettera al suo amico Lothar, ma la indirizza per errore a Clara, vediamo in scena fratello e sorella mentre ascoltano la lettera direttamente dalla voce di Nathaniel, potendo assistere alla reazione dell'uno e degli altri, tutti presenti in uno stesso spazio scenico che unisce tempi e luoghi diversi.
Uno spazio buio senza elementi di scena - se non qualche elemento essenziale una sedia, un tavolo, che compare e scompare a seconda dei casi -,   dal quale personaggi e situazioni emergono dal buio per tornarvi subito dopo. Uno spazio nel quale la luce oltre a individuare ambienti, sottolinea situazioni e restituisce degli stati emotivi, mentre le musiche mai esornative diventano quasi un personaggio a sè.

In  questo nuovo allestimento  la vocazione visiva della drammaturgia viene ulteriormente sviluppata introducendo alcune nuove scene di immediato effetto e di notevole eleganza (l'enorme candeliere a forma di croce nel quale le candele brillano di fiamma autentica e si spengono una dopo l'altra;  le presenze che animano l'ospedale psichiatrico dove Nathanel viene ricoverato, le quali, distorte dalla sua mente malata, assumono l'aspetto di inquietanti uomini incappucciati, mentre sotto le mentite spoglie di una monaca di bianco vestita si annida il male (o Hoffmann?).
De Bei si è concesso un barocchismo tenuto magistralmente a bada da un gusto per il particolare e dalla coerenza drammaturgica generale senza scadere mai nella ricerca dell'effetto fine a se stesso, o nell'autocompiacimento, tradendo semmai il gusto e il piacere di intrattenere il pubblico.

Rispetto il primo studio  lo spettacolo perde un po del rigore narrativo a favore di quel gusto per la fantasmagoria che trova stavolta una legittimazione di più ampio respiro.

L'uomo della sabbia è uno spettacolo di fattura che si rifà a un immaginario collettivo che non è quello del fumetto o della televisione ma quello, se non più colto sicuramente più stoicamente sedimentato, della letteratura e del cinema (anche se lo spettacolo rimane squisitamente teatrale, certi effetti visivi il cinema avendoli mutati dal teatro e non viceversa).

Ancora più che nel primo studio L'uomo della sabbia richiede un lavoro cospicuo tra cambi repentini di scena e di personaggio, tanto che stavolta per interpretare tutte le presenze del racconto, si avvale del contributo di un misterioso collaboratore che compare sempre come presenza fantasmatica, e  che vediamo in volto solamente quando viene a prendersi gli applausi (e ci si rammarica di non averne potuto apprezzare di più l'avvenenza).

Attori e attrice confermano la bravura e la qualità del lavoro richiesto da De Bei che è un regista esigente con i suoi attori che sa dirigere con maestria.

Riccardo Francia è davvero bravo nel passare senza soluzione di continuità dall'autorialità di
Hoffman alla malvagità di Coppelius rimanendo del tutto convincente anche quando interpreta alcune presenze tra il mostruoso e il grottesco (come la monaca malvagia). Giselle Martino sa restituire le sfumature emotive di Clara con grande generosità.

Fabio Maffei dà a Lothar tutta l'umana fragilità dell'amico e del fratello preoccupato, mentre Mauro Conte ancora una volta si lascia travolgere dall'ossessione e dal bisogno d'amore con cui Nathanael racconta di Coppelius e di Olimpia.

Fa piacere vedere come uno spettacolo già di notevole fattura al primo studio possa essere implementato in una seconda versione che senza tradire lo spirito della prima messinscena prosegue il discorso intrapreso. Un discorso nel quale il teatro si fa momento di riflessione e (ri)scoperta dei classici della letteratura.

 

Visto il 18-09-2012
al Della Cometa di Roma (RM)