Arriva finalmente a Torino, dopo tre stagioni di successi, “L’uomo, la bestia e la virtù”, di Luigi Pirandello, prodotto dal Nuovo Teatro Eliseo, per la regia di Fabio Grossi, protagonista Leo Gullotta.
Una commedia tragica che pare un elogio dell’ipocrisia, non solo della classe borghese, bensì del mestiere dell’attore (o commediante, che è sinonimo del termine greco, che l’italiano traduce come “ipocrita”). Infatti, colui che recita, secondo il testo di Pirandello, “fingendo fa il suo dovere e compie il male solo quando finge per gusto”. Da qui, ecco svelate le tre personificazioni del titolo: l’Uomo è un onesto professore, Paolino, la Virtù è la signora Perella, moglie trascurata della Bestia, il capitano Perella, che con la scusa del proprio mestiere è sempre assente da casa e pare essersi costruito un’altra famiglia. Un altro esempio dell’eterno gioco delle parti pirandelliano.
Gullotta in scena rende molto sfaccettato il personaggio di Paolino: Uomo onesto, certo, ma di una scaltrezza inaspettata.
Accanto a Gullotta, Antonella Attili, Carlo Valli e Gianni Giuliano. Quest’ultimo, tra i quattro personaggi principali (il Dottore che aiuta Paolino nel suo stratagemma per spingere il capitano Perella verso i propri doveri coniugali, n.d.r.) è quello meno convincente. O almeno, è efficace dal punto di vista comico, ma una platea dall’udito fine stenterebbe a riconoscere la sua recitazione in scena, dalla recitazione in sala di doppiaggio (sia Gullotta, che Valli, che Giuliano, lo ricordo, sono tre affermati doppiatori, n.d.r.). Nota di merito alla scenografia, essenziale e al tempo stesso elaborata di Luigi Perego.
Torino, Teatro Grande Valdocco, 8 aprile 2008
Visto il
al
Goldoni
di Livorno
(LI)