Prosa
L'UOMO, LA BESTIA E LA VIRTù

Pirandello in maschera

Pirandello in maschera

Gli spettatori di questo terzo millennio, di fronte a un dramma “anomalo” di Pirandello come “L’uomo, la bestia , la virtù” devono indignarsi o ridere?  Della sensibilità contemporanea certamente tiene conto lo spettacolo in scena alla Corte di Genova fino 3 gennaio, diretto da Giuseppe Di Pasquale e interpretato nei ruoli principali da Geppy Gleijeses, Marco Messeri, Mariella Bargilli. La storia è quella della virtuosa signora Perella, spinta per una notte dall’amante,il professor Paolini, tra le braccia del bestiale  e recalcitrante marito per mascherare una scandalosa gravidanza adulterina.  Con il semplice smascheramento delle ipocrisie salottiere, suscita reazioni certamente diverse rispetto a quel  fastidio che segnò l’insuccesso della commedia al suo debutto, nel 1919.

Il regista, coadiuvato dagli interpreti, ha pensato dunque che fosse meglio spingere il pedale sul registro cinico-grottesco, più che sulla denuncia di un certo costume. Del resto Pirandello stesso stilisticamente non è  ancora decisissimo. Correda infatti  un copione che per tanti aspetti potrebbe ricalcare il tipico teatro borghese, i modi e le situazioni di un triangolo da pièce bien faite,  con didascalie sulle maschere alle quali devono ispirarsi i personaggi:  indicazioni che sono un manna per una certa tendenza novecentesca espressionistico- deformante del teatro europeo, più tedesco che italiano. 

Di Pasquale, con l’aiuto della costumista  Adele Bargilli va  in questa direzione, con il  trasparente professor Paolini (Gleijeses), impacchettato in una giacchetta che evoca la carta per alimenti; la domestica-gallina con tanto di cresta; il marito capitano,  non cespuglioso cinghiale come nella prima versione con Lello Arena, ma pur sempre evocante un cartone animato; la moglie bamboletta o, per meglio dire, marionetta. Non rinuncia però a una nota di verismo, una sfumatura di accento, in parte  meridionale in parte  toscana.

Per chi ama le citazioni, un omaggio all’interpretazione di Totò, nel film con Orson Welles, o per quanto riguarda invece l’applaudito Vincenzo Leto, nella parte di Nanò, figlio dei Perella o la domestica, un accenno alla Commedia dell’Arte. Lasciando da parte le mediazioni, si può invece pensare che regista e interpreti  non se la sentano di  tagliare del tutto i ponti con il passato, come del resto non fecero, nelle prime edizioni né Gandusio né Randone, né più tardi, con regia di Squarzina, Ugo  Pagliai. E a questo punto, di fronte a questo difficilissimo equilibrio tra dramma, commedia e farsa, che  qui vira decisamente sul comico, ci si chiede, se con due attori certamente capaci di brillanti chiaroscuri come Gleijeses e Messeri,  l’irrigidimento delle maschere e dei toni urlati non siano uno spreco. Pubblico diviso, in parte perplesso e un po’ spiazzato, in parte molto divertito.

Visto il 29-12-2015
al Ivo Chiesa di Genova (GE)