MACADAMIA NUT BRITTLE

Un implorante desiderio di vita: è Macadamia

Un implorante desiderio di vita: è Macadamia

Non te la spieghi l'inquietudine che ti assale prima di entrare e ti accelera l'adrenalina in corpo. Una spasmodica attesa in preda all'eccitazione come quando stai per salire la prima volta sull'aereo e non hai idea a cosa vai incontro. Hai paura di volare e di essere ingoiato dentro ad pancia di metallo. Nell'istante subito dopo, quando la convenzione che crea la giusta distanza tra platea e palcoscenico viene annullata, il pubblico si ritrova su di un piano di eguaglianza a contatto ravvicinato con gli attori intenti ad indicare, in una autistica gestualità, le uscite di sicurezza, ripetute serialmente da tre solerti steward in abiti comuni.
Benvenuti a bordo di Macadamia Nut Brittle. Inutile allacciarsi le cinture. Le turbolenze drammaturgiche, visive e uditive promettono una salita in quota dove puo' mancarti il respiro, tant'è la sospensione dell'ossigeno. Un Teatro dove i sensi sono sollecitati in eguale misura. Vista, udito, olfatto, tatto, e gusto (..primogusto è anche il sottotitolo scelto da Ricci/Forte).Un sordo rumore di una voce, possibile immaginario di un piacere erotico, singulto di un'esalazione di respiri e mugolii dove piacere e dolore si confondono. Una Babele caotica in cui vieni travolto. Corpi esibiti, corpi denudati, sudati, scuoiati e stuprati. Al centro la fragile corporeità fisica di tutto lo scibile umano in lenta dissoluzione. Una destabilizzazione causata da un'implorante esasperata e sacrificale lotta: evidente ricerca affannosa per trovare un senso alla propria esistenza. Una sorta di sinestesia dei rapporti affettivi, colmati da irrefrenabili desideri compulsivi sessuati, la libidine si annulla e lascia agire ad una sorta di ritualistica pratica, il disperato bisogno di ri-animare un Io ferito nella carne e nell'anima. Solo attraverso il dolore subìto e commesso possiamo sentire ancora un battito fremere nell'indolenzito cuore, sembrano dire questi tre ragazzi in affannosa ricerca di sentimenti.


Sono Fabio Gomiero, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, attori performer, capaci di incarnare la bellezza e la perdizione di smisurata bravura interpretativa, addestrati nei movimenti da Marco Angelilli. In loro c'è l'adesione convinta di un progetto professionale artistico e allo stesso tempo vitale. Capaci di offrire il proprio corpo al servizio del binomio drammaturgico-registico. Una donna: Anna Gualdo in costume wonder woman, clown malinconico, vestale di un rito pagano e ludico in cui si giocano le miserie umane rese ridicole da tanta foga nel farsi fare del male. Legata, seviziata, soffocata da un nastro isolante per sedare il suo implorante desiderio di amore anche quando l'accanimento sadico subito diventa una perversa dimostrazione di come l'essere umano più soffre e più agogna l'amore. Le fa dire “ti amo-ti amo da impazzire-sei dolce- protettivo- noi non ci lasceremo mai- grazie di esistere”. Non servono le mollette infilzate nella carne come ferali banderilla sul garrese del toro stramazzato al suolo, lo sputo colato sul corpo - gesto spregevole e offensivo di una dignità umana perduta – a farla ricredere. Il bisogno d'amore divenuto patologia cronicizzata. Ricci/Forte colgono a pieno queste deformazioni stridenti dove la malattia si è insinuata nelle pieghe nascoste della pelle umana.
Spettacolo bulimico che trae forza dall'energia sprigionata anche dalla parola affabulatoria in cui Anna Gualdo è interprete di tale intensità da restare attòniti nel suo declamare dolente. Tocca a lei fare da contrappeso ad un mondo omosessuale diviso tra struggenti sentimenti e feroce consumo cannibalistico di corpi aggrovigliati tra loro. Uno di loro diviene tavolozza anatomica su cui imprimere segni grafici che si sbiadiscono allorché i fiotti di colore “sangue” spruzzati, trasformano i loro nudi corpi in altrettanti San Sebastiani martirizzati sui tacchi di vetro. Un fermo immagine di assoluta potenza iconografica e forse pornografica. L'intermezzo giocato su studio e improvvisazione del testo, regala momenti di comicità esilarante quanto surreale. A Venezia il ritmo continuo alternato tra i quattro protagonisti in scena dall'inizio alla fine si gioca sugli stereotipi classici divisi tra un gondoliere superdotato di un pene gigantesco, citazioni al Cacciari filosofo ex sindaco, e tutto quanto fa cartolina della città lagunare. Si cambia location ed eccoci a Trento allo Spazio 14 dove c'è un boscaiolo con tanto di tronco d'abete tra le gambe: “la terza provincia dopo quella di Bolzano e Trento”, wurstel e crauti, guardie forestali super virili. Il finale è di un'intensità poetica senza eguali. Indossate le maschere dei Simpson i tre uomini si rifugiano in tende da campeggio per bambini (e qui l'adulto diventa corpo di neonato), fuori nel mondo frenetico e cinico resta lei, sola, per chiederci di restarle accanto. Una volta consumato il gelato ( Haagen Dazs è la marca a cui fa riferimento il titolo), disposti in fila come tanti soldatini, decine e decine di muffin, subito dopo schiacciati ferocemente, cosa resta se non l'amara sensazione che tutto si crea e tutto si distrugge. La vita è solo questo. Spettacolo amaro suggestivo e commovente, ti accompagna fino a fuori dove aspetta la tua di vita in cui devi lottare per riemergere. È simile a Macadamia: puoi soccombere in ogni istante ma comprendi di non poterne fare a meno. Inevitabilmente come l'amore e/o il dolore.
 

Visto il 17-11-2010
al Carlo Goldoni di Venezia (VE)