Milano, Teatro alla Scala, “Macbeth” di Giuseppe Verdi
MACBETH AL CUBO
Macbeth è il primo approccio di Verdi a Shakespeare ed è un’opera sperimentale che segna la volontà di andare oltre le convenzioni del belcanto e del melodramma dell’epoca alla ricerca in una vocalità tesa all’espressione drammatica e alla realizzazione del personaggio anziché alla melodia edonistica di pura bellezza di suono. Verdi è già sulle tracce del Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, convinto che non contino più solo musica e parola, ma che tutto debba confluire in un unico atto creativo in cui la voce si modella sulla parola e sul mutare della situazione scenica.
Dopo più di dieci anni è stato riproposto alla Scala lo spettacolo di Graham Vick che quando uscì suscitò non pochi dissensi e diventò famoso per la scenografia di Maria Björnson, “l’inutile scatolone” su cui si è spesso ironizzato e che invece conferma a distanza di tempo originalità e freschezza. La scena unica è dominata da un immenso cubo rotante incastonato in modo obliquo con una faccia aperta per creare efficaci squarci visivi. Il cubo gira, rigira, cigola, presenza potente ed inquietante che coinvolge lo spettatore, facendo altresì risaltare recitazione e movimento scenico, conferendo maggiore concentrazione al dramma.
Il suo ruotare è accompagnato dai suggestivi giochi di luce di Matthew Richardson, luci colorate e radenti in sintonia con il chiaroscuro musicale, la situazione drammatica e gli stati d’animo; lame di luce che squarciano la mente mettendo in rilievo tutto il parossismo e l’orrore morale dei protagonisti. Il cubo, monolite di kubrickiana memoria, simboleggia il peso del potere, della colpa, del destino, sotto il quale come schiacciati stanno i personaggi o da dove escono strisciando streghe formicolanti. Al suo interno c’è il castello di Macbeth, una reggia sghemba tinta di rosso (sangue e inferno), in cui si aggira una Lady trasformata dalla luce in creatura satanica che scende i gradini come una fiera e che trova un lampo di languore mentre accarezza le pareti e intona “ O voluttà del soglio”. Reggia, quindi, ama anche al tempo stesso prigione di sentimenti e di vitalità compresse fino all'esplosione inevitabile.
Sulla parete sono proiettati elementi caratterizzanti: il sangue grondante di Banco ucciso dai sicari, la verde impronta di una mano rapace simbolo di oppressione e di monito, un feto inquietante. Il cubo, luogo senza uscita, sulle cui pareti rimbalzano e si amplificato quelle gelide folate di odio che la partitura trasuda e che ne costituisce la chiave di lettura e di interpretazione, necessariamente.
L’opera di Verdi, diversamente dall’invenzione shakespeariana permeata di fantastico e di soprannaturale, è incentrata sul dramma tutto umano di un’ambizione cieca e autodistruttiva di cui il cubo suggerisce la componente claustrofobica e ossessiva e che nel suo inesorabile ruotare ribadisce la spirale di morte che s’ingenera in una situazione di equilibrio apparente, in bilico fin dall’inizio. Ma anche il suo ciclico ritornare. Il fantastico è mediato dalle allucinazioni del soggetto e anche le streghe (che calano dall’alto tenendosi per mano immerse in una luce azzurrina che ricorda un acquario, unico elemento debole di una regia formidabile, anche per il perfetto equilibrio nei movimenti dei singoli e delle masse) sono creature oniriche in cui si confondono angeli e demoni, ondine e silfidi.
Leo Nucci è un Macbeth di riferimento che strappa ancora applausi per la voce sfumata, la sensibilità di fraseggio, la capacità di declamare il parlato. Un Nucci di nuovo in forma che regala un commovente “Pietà, rispetto, amore” di cui riesce a sostenere le aperture del cantabile con morbide messe di voce. A sorpresa offre di Macbeth una lettura misurata, un uomo dolente dalla psicologia malata in cui si ravvisano sprazzi di coscienza di chi è più co-responsabile che sottomesso, l’altra faccia della stessa sanguinaria medaglia.
Violeta Urmana è una Lady Macbeth vocalmente adeguata, il canto è sicuro, di grande musicalità e morbidezza timbrica in grado di adeguarsi al variare delle dinamiche espressive previste dal ruolo. Vibrante la scena del sonnambulismo risolta con un bel gioco di chiaroscuri a rendere un’allucinazione non priva di lirismo che rivela il velo di pietà che Verdi stende alla fine sul personaggio. A livello interpretativo però non riesce a trasmettere tutto il brivido, il demoniaco, l’animalità mista a sensualità, col risultato di una Lady inoffensiva e burrosa nel confronto con interpreti più diaboliche e grintose.
Ottimo il Banco di Ildar Abradazakov, perfetto per la voce profonda e brunita efficace a suggerire tutto l’orrore nella grande aria “Come dal cielo precipita“ che suona spettrale e terribile.
Voce robusta dai facili acuti per il Macduff di Walter Fraccaro che però non mette in luce tutto il gioco dinamico dal piano al forte della sua unica aria, che risulta monotona e povera di sfumature.
Kazushi Ono ha offerto una direzione nitida e corretta, attenta alle sonorità e ai colori orchestrali (e in questo perfettamente assecondato dall’ottima orchestra), ma piuttosto fredda e poco caratterizzata, che non è riuscita a trasmettere la giusta “tinta”, quel mix di mistero, odio viscerale, tensione e fosca inquietudine necessari per meglio valorizzare quest’opera.
Superba la prova del coro, grande protagonista della serata per la capacità di restituire tutta la potenza espressiva e visionaria della musica di Verdi. Emozionante “Patria oppressa”, lento e malinconico, dolce senza essere stucchevole, un lamento corale carico di attesa che va dritto al cuore.
Un pubblico soddisfatto ha applaudito con convinzione interpreti e allestimento, dei fischi che avevano caratterizzato la prima nessuna traccia.
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 24/04/08
Ilaria Bellini e Francesco Rapaccioni
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)