E' un MacBeth fin troppo onirico, debordante, quello che mette in scena Franco Branciaroli. Si è catapultati in una frastornante atmosfera da incubo.
La performance attoriale, sempre un po’ troppo sopra le righe, è spesso eccessivamente veemente. La Lady MacBeth di Valentina Violo è esageratamente Mefistofelica, senza quasi più traccia di umanità. Non vi è alcuna seduzione del Male per lei, nessuna progressiva depravazione morale: pare già votata fin dall'inizio alle peggiori nefandezze, solo in semplice attesa della profezia delle Sorelle Fatali, e non corrotta da essa. Se Lady MacBeth è certamente il pungolo che spinge il marito al crimine, anche lei, al pari dell'uomo, subisce una trasformazione, ancor più eccezionale di quella di MacBeth poiché ha luogo in una donna. Dipingendola come una diavolessa in potenza, il personaggio perde in spessore, ma soprattutto si rende incomprensibile il suo tormento e follia finali.
Molto interessante l’idea di affiancare a MacBeth un personaggio muto e senza volto durante i soliloqui, scene che facilmente cadono nella inverosimiglianza. Eppure Branciaroli non sfrutta questo brillante escamotage nell’unica scena del dramma che ha spesso messo in difficoltà anche i più leggendari attori e registi shakespeariani: il monologo del pugnale. La performance dell'attore è certamente impeccabile, ma rimane la curiosità di sapere come sarebbe stata la scena se MacBeth non fosse stato solo nel momento del suo delirio omicida.
Splendido il soliloquio finale di MacBeth, con il quale Franco Branciaroli, dopo tanta smisuratezza, riesce a rendere perfettamente il senso di sconfitta che alberga nell'animo del personaggio, l'orrore per l'insensatezza e la futilità dei suoi atti, della sua perdizione morale.
Inspiegabile la commistione di italiano e inglese, quest'ultimo riservato alle sole Tre Streghe e ai due soliloqui di Lady MacBeth. Seppure un brivido corre sempre lungo la schiena all'udire le leggendarie battute delle Weird Sisters in lingua originale – “by the pricking of my thumbs...” più di ogni altra – la scelta non è chiaramente motivata. La traduzione letteraria non è mai cosa semplice, e Shakespeare è particolarmente pericoloso, ma le battute che Branciaroli ha deciso di lasciare in inglese sono esattamente quelle più stimolanti per un traduttore. In mani sapienti, sarebbero potute essere efficaci quasi quanto quelle scritte quattro secoli fa.
Lo spettacolo brilla decisamente nella sua parte tecnica. I costumi di Gianluca Sbicca sono di una bellezza incredibile, sontuosi ed evocativi senza mai cadere nella mascherata. La scenografia di Margherita Palli è essenziale, con un gioco di dislivelli e di varchi che si aprono e si chiudono, rimandando quasi ad atmosfere espressioniste, adattissime alla piéce. Tuttavia sono le luci di Gigi Saccomandi l'elemento tecnico di maggiore impatto, dando un contributo determinante nella creazione dell'atmosfera scenica.