Nell'anno di Expo Milano il teatro dell'Opera di Roma stupisce italiani e stranieri con una programmazione estiva originale interamente dedicata a Giacomo Puccini (Madama Butterfly, Turandot e La Bohème) che si è aperta con un allestimento nuovissimo dell'opera "giapponese" curato dalla Fura dels Baus, gruppo catalano che in questi anni ci ha stupito con messe in scena tecnologicamente sorprendenti (su tutte il Ring del Maggio fiorentino e l'Aida veronese del centenario).
In questo caso la vicenda è trasposta ai giorni d'oggi senza tuttavia forzature, anzi evidenziando l'attualità della storia che viene mantenuta nel contesto geografico voluto dal libretto. Nel primo atto, sullo sfondo dei contrafforti delle Terme, si stende un prato verdissimo di collinette ondulate con un boschetto di bambù. Qui si celebra il matrimonio di finzione dei protagonisti col catering all'americana (i camerieri hanno le mascherine davanti alla bocca come molti giapponesi usano fare in giro per Roma): il personale è impegnato nell'allestire e poi nel togliere tavoli e buffet per tutto il tempo dell'atto, mentre si affilano le sedie e si montano tende di veli rossi leggerissimi. Nuvole leggere passano in proiezione sui muri di Caracalla, dove una luna emerge tonda ma venata da chiazze nerastre. A terra, tracciati con il bianco sul prato verde brillante, i segni in corrispondenza dei quali verrà costruita la casetta. Butterfly rispetta il suo soprannome di farfalla ed entra in scena "imbozzolata" nel tulle bianco; per il matrimonio toglierà questa schermatura – protezione restando con grande cappello e un ingombrante kimono bianco; poi toglierà il cappello e, in sequenza, la parrucca e una stoffa viola che protegge il capo; nell'intimità della prima notte di nozze sarà al principio in leggera tunica orientale e poi nuda, svelando una enorme farfalla tatuata sulla schiena.
Il secondo atto dà la cifra interpretativa della regia di Alex Ollé: Pinkerton è un "palazzinaro", attirato dall'esotismo della fanciulla solo per un breve momento di svago, invero interessato a costruire e vendere appartamenti, come annuncia il grande cartello pubblicitario della "Pinkerton Construction" a proposito del "Complesso residenziale Caracalla". Trovata invero che nulla aggiunge al plot, anzi pare forzata con il prosieguo della storia, risultando poco credibile che egli, per tre anni, non sia presente in quel mastodontico cantiere. In realtà però la trovata è di tale bellezza scenografica, di tale sorprendente realizzazione e di tale coinvolgente effetto che resta la cifra identificativa dell'allestimento, a prescindere da ogni altra considerazione: il pubblico resta ammaliato e il trascorrere del tempo sui grattacieli è efficacissimo.
Il cambio scena tra primo e secondo atto, ovviamente a vista dato il sito, è di per sè uno spettacolo a cui consigliamo vivamente di assistere. La casetta di Cio Cio San è una baracca di cemento e lamiera ondulata al centro di un grande cantiere e i mobili paiono oggetti di risulta. Sullo sfondo, le rovine diventano la base per proiettare un enorme cantiere di grattacieli, con tanto di gru in movimento: i palazzoni crescono piano su piano con la loro anima di cemento armato, poi vengono completati e danno atto dello scorrere del tempo a seconda del colore dei raggi del sole riflessi dai vetri specchiati o con le luci delle finestre accese nel buio della notte. Queste strutture, nel terzo atto, diverranno abbandonate e si scheletrizzeranno con effetto altamente suggestivo. Commovente e azzeccata la presenza del figlio dei protagonisti, che gioca con gli amichetti nel cantiere intorno casa e, nel finale, chiama la mamma in un grido di straziante disperazione. Il suicidio non avviene in scena ma nella casa: spetta a Pinkerton portare il cadavere in scena avvolto in veli bianchi insanguinati: la farfalla di nuovo tornata nel suo bozzolo di protezione.
Nel complesso davvero un bellissimo lavoro (scene di Alfons Flores e costumi di Lluc Castells con luci di Marco Filibeck in una coproduzione con Opera Australia / Sydney Opera House) e, da rilevare, la grande capacità di recitazione di tutti, protagonisti, coro e comparse, e il perfetto affiatamento sul palcoscenico.
Yves Abel ha movimento elegante e non concitato che assicura una direzione fluida e, al tempo stesso magmatica, consentendo di apprezzare lo scorrere della storia e di sentire fino in fondo il tumulto dei sentimenti. Sfrondata da elementi non necessari, la partitura respira nell'aria della notte romana e si fa apprezzare per i riferimenti alle novità del Novecento pur non dimenticando la grande tradizione su cui Puccini si imposta. Abel sceglie linee decise e incisive, non indugia troppo in inutili morbidezze a favore di bruschi e drammatici scarti, d'altra parte confermati dalla regia.
Ha sorpreso la sconosciuta Asmik Grigorian che arriva dalla lontana Lituania: straordinariamente brava, la sua Butterfly ha conquistato il pubblico per voce e presenza scenica, magra e col corpo coperto di tatuaggi, così evidenti quando nel secondo atto resta in jeans cortissimi e canottiera con bandiera americana (prima in kimono ma All Star ai piedi); aspetto fisico estremamente gradevole e grande capacità di recitazione: non bambolina ma giovane donna già provata dalla vita; a questo si aggiunge che dal punto di vista vocale è pure eccellente: la dizione è perfetta, il registro centrale è corposo, gli acuti sono facili e sicuri ma soprattutto espressivi, mentre nel canto sfumato e raccolto prevale un'amarezza e una disillusione a cui la protagonista cerca di sottrarsi con i sogni e i desideri ma lei è la prima a conoscerne l'ineluttabilità; dunque pienezza di voce unita a morbidezza, duttilità e soprattutto espressività.
Angelo Villari sostuituisce l'annunciato e indisposto Sergio Escobar e il risultato è dignitoso nella voce piacevole nel timbro non chiarissimo ma tendente a qualche brunitura, però un poco corta nei fiati, soprattutto negli scatti verso l'alto; il personaggio lascia nel pubblico (su preciso intento del regista) una palese sgradevolezza. Anna Malavasi è una bravissima Suzuki, appassionata e precisa, che scava nel personaggio e presenta sempre un canto sfumato ed espressivo nelle inflessioni di tenerezza, di rabbia, di amara consapevolezza, al punto da accettare soldi dalla signora Pinkerton, sperando così di uscire dalla situazione di indigenza che ha trasformato lei e Cio Cio San in due povere straccione. Alessio Arduini, in abito stazzonato che lo rende all'apparenza più piccolo e fragile, è uno Sharpless umanissimo e partecipe delle vicende della protagonista, vocalmente impeccabile: il duetto del secondo atto è uno dei momenti più riusciti.
Bravi tutti nei ruoli di contorno: Anastasia Boldyreva (Kate Pinkerton "signora bene" con golfino sulle spalle, capelli raccolti in chignon e borsa Kelly), Saverio Fiore (Goro insinuante e "faccendiere" privo di scrupoli, giovane e astuto profittatore), Andrea Porta (Yamadori affascinante e volgarotto nella sua ricchezza ostentata e insistita dai bodyguards), Farbizio Beggi (Zio Bonzo mafioso d'oriente accompagnato da sgherri con mazze di legno), Fabrizio Benetti (distinto ed elegante Commissario imperiale appaiato dall'Ufficiale del registro Leo Paul Chiarot). Con loro la madre di Cio Cio San Silvia Pasini e la cugina Cristina Tarantino, quasi indistinte nel coro. La prestazione del coro, preparato da Roberto Gabbiani, resta di alto livello, seppure l'amplificazione e la scelta registica di camminare in corteo abbiano penalizzato la resa del coro a bocca chiusa.