Firenze, teatro Comunale, “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini
LA FORZA DELLA TRADIZIONE
Profondamente differente dall'opera che la precede (Tosca), un incalzante dramma d'azione, Madama Butterfly è una tragedia psicologica con al centro l'evoluzione di Cio-Cio-San, ragazzina quindicenne strappata all'età “dei giochi e dei confetti” per aderire a un costume sociale di quel paese e di quel tempo. La condizione di moglie americana è tale solo nel suo pervicace autoconvincimento (forse pervicace perchè minato nella certezza della sua esistenza) e viene rapidamente demolita dal precipitare degli eventi che la costringono, da vera eroina, ad accettare la legge eterna di ogni tragedia: chi ha turbato l'ordine sociale (come lei ha fatto innamorandosi di un uomo che si voleva solo divertire) può e deve ristabilirlo col sacrificio di se stesso: “con onor muore chi non può serbar vita con onore”.
In occasione dell'anno pucciniano il Comunale di Firenze ha ripreso l'allestimento di Pier Luigi Samaritani del 1979. Scene e costumi sono improntati al più dettagliato e curato naturalismo, com'è nella cifra stilistica dell'artista prematuramente scomparso. Il primo atto è nel giardino prospiciente la casa di Cio-Cio-San, una tela di Monet (“Ninfee”): sulla destra la casa su palafitta, al centro il prato verde, sullo sfondo un ponticello ad arco che scavalca un placido laghetto, dove si rispecchiano alberi frondosi fioriti. Gli atti secondo e terzo sono all'interno di quella casa, dalle cui aperture si vedono ancora i rami degli alberi fioriti. Il boccascena si restringe nell'intervallo per inquadrare la scena intima e domestica con maggiore concentrazione. Il vento muove le fronde degli alberi e le tende della casa. I costumi del coro riprendono i colori dei fiori sulle infinite tonalità del rosa e sono rigorosamente legati all'epoca e al luogo, splendidi, perfetti. Le luci ricreano lo scorrere delle ore con estremo realismo, soprattutto nel passaggio tra secondo e terzo atto, quell'attesa infinita e logorante, drammaticissima. Nel finale Cio-Cio-San si pugnala e cade a terra, un braccio verso l'alto, la scena diviene buia, le tende oscillano al vento, silenziose, sulla musica che si spegne. Per il resto la regia si limita a seguire fedelmente le indicazioni del libretto.
L'opera è essenzialmente centrata sul personaggio di Butterfly, all'ombra della quale si muove con delicata partecipazione l'ancella Suzuki; gli altri sono pallide figure (Pinkerton o Sharpless) oppure macchiette (Goro e Yamadori). Patricia Racette dà una superba interpretazione del ruolo eponimo, sviluppando coerentemente il carattere della protagonista vocalmente ed attorialmente: dalla ingenuità iniziale ai primo sospetti sul proprio destino fino al terzo atto in cui, rassegnata, domina assoluta la scena. La voce, dal colore leggermente scuro, è impeccabile, la dizione curata, tutti i registri saldi e sicuri, rapida la salita all'acuto. Francesca Franci è una ideale Suzuki nelle movenze quasi da nutrice delle tragedie greche e nella vocalità scura e corposa. Stefano Secco ha squillo e fraseggio ed è un aitante Pinkerton. Marco Di Felice affronta con disinvoltura il ruolo del console americano, e vocalmente ineccepibile. Adeguato il resto del cast, Mario Bolognesi (Goro), Giovanni Bellavia (Yamadori), Francesco Palmieri (Zio Bonzo). Con loro Raffaella Ambrosino (Kate Pinkerton), Paolo Pecchioli (commissario imperiale) e Luciano Roberti (ufficiale del registro).
Roberto Rizzi Brignoli ha diretto con mano sicura l'ottima orchestra del Maggio; il coro preparato da Piero Monti ha dato buona prova durante il primo atto e nell'atteso “coro a bocca chiusa”.
Teatro gremito per un allestimento naturalistico che riesce ancora ad emozionare con la forza di una tradizione ed un mestiere che sono profondamente italiani e che a tutt'oggi non appare assolutamente sorpassato. Pubblico ovviamente soddisfatto e plaudente.
Visto a Firenze, teatro Comunale, il 20 gennaio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Maggio Musicale Fiorentino
di Firenze
(FI)