Una primavera declinata al femminile al teatro dell'Opera di Roma: prima Tosca, ora Butterfly, quindi Manon (di Massenet) nel giro di tre mesi, da aprile a giugno.
Questo allestimento di Butterfly proviene dal Comunale di Bologna ed ha fatto storia per la scenografia di Aldo Rossi, una costruzione in legno a tre piani essenziale, evocativa di un Giappone di rigore ed esemplare dello stile dell'architetto. Ciascun piano è suddiviso: il terreno da due pilastri tondi per creare un effetto veranda che comunica con il giardino tramite bassi gradini; il primo piano in tre parti (una chiusa, l'interno di una camera), il piano ultimo in quattro parti, occupate da due grandi bandiere (Giappone e Stati Uniti d'America) e da un grande cavallo azzurro di legno o di terracotta. Due rampe collegano i piani fra loro, aperti completamente sul vuoto circostante.
Infatti la suggestione è aumentata dalla parete di fondo che si piega con due ali ai lati quasi ad avvolgere la casa, una parete che si colora e che lascia vedere in alcuni momenti ombre sul retro che tanta parte hanno nella presa emotiva sullo spettatore. I colori sono fortemente caratterizzanti l'impianto scenico ed esprimono in forma visiva i sentimenti oggetto della rappresentazione, dal bianco iniziale al verde acido della contrattazione nuziale, dal rosa della cerimonia all'azzurro della sera all'arancio dell'intimità “coniugale”.
Con l'austerità della scena contrastano i costumi filologici molto ricchi di Anna Maria Heinreich e le luci perfette disegnate da Franco Marri. Soprattutto i costumi denotano il passaggio tra il primo e il secondo atto: Cio-Cio-San indossa per il matrimonio un abito sontuoso giapponese (con vistosa croce al petto, però), dopo l'intervallo ha una gonna lunga con camicetta tipiche occidentali (sempre con croce al petto). Anche nella mobilia si avverte un certo gusto americano in piccoli dettagli, il cavallo a dondolo, le poltrone. Invece la povera veste di Suzuki del second'atto rivela le precarie condizioni economiche della casa.
Il regista Stefano Vizioli utilizza due piani della costruzione di Rossi, il terreno ed il primo; muove protagonisti e coro con molta perizia, in modo da consentire lo svolgersi della storia in modo tradizionale ma con gesti non scontati, come Suzuki che massaggia le gambe al console, Pinkerton che strappa di mano il pugnale a Cio-Cio-San rigirandolo come fosse un oggetto da poco. Una regia che dopo 24 anni (l'allestimento è del 1986) ha mantenuto la sua attualità e la sua forza comunicativa. Molto bella la scena del coro “a bocca chiusa”: Butterfly cammina, si aggira come un fantasma per la casa buia, che sembra diventata una casa delle bambole.
Daniel Oren ha diretto con impeto e passione e l'orchestra lo ha seguito in modo perfetto. Il Maestro ha sottolineato gli impasti cromatici e i contrasti timbrici, non mancando di rendere l'intimità e la levigatezza di certi momenti. Buona la prova del coro preparato da Andrea Giorgi.
Amarilli Nizza nel ruolo del titolo ha pienamente convinto: la voce è importante ma sempre controllata, pieni i centrali, sicuri gli acuti, corposi i gravi, espressiva ed intensa in ogni momento, senza cedimenti. Marco Berti è stato un Pinkerton dalla voce piena e pulita; Franco Vassallo uno Sharpless umano; Francesca Franci una ottima Suzuki per capacità attoriali e vocalità; serpentino il Goro di Mario Bolognesi, ieratico il principe Yamadori di Armando Gabba, sacerdotale lo zio Bonzo di Carlo Striuli. Con loro Anastasia Boldyreva (Kate Pinkerton), Daniele Massimi (Yakusidé), Angelo Nardinocchi (commissario imperiale), Antonio Taschini (ufficiale del registro), Emanuela Luchetti (madre), Carla Guelfi (zia), Laura Bertazzi (cugina).
Una novità per l'Opera di Roma: i sopratitoli. A causa dello sciopero contro il decreto Bondi questa recita è di fatto stata la prima con il primo cast. Pubblico numeroso e caloroso, molti applausi anche nel corso della recita.