Di tante inaugurazioni scaligere questa è una delle più interessanti per la riproposizione della prima partitura di Madama Butterfly, suonata un'unica volta, il 17 febbraio 1904, proprio alla Scala e dunque è la prima occasione di ascoltare l'opera come l'aveva scritta Puccini, tanto che, insieme al programma di sala, ne viene consegnata la ristampa anastatica dell'edizione realizzata per la prima assoluta. Dopo la stroncatura da parte del pubblico, il compositore mise mano allo spartito che poi trionfò tre mesi dopo al Teatro Grande di Brescia; tuttavia Puccini tornò continuamente sull'opera per anni, togliendo molto e aggiungendo Addio fiorito asil per accontentare il tenore e allungare un poco il terzo atto (resta un'aria poco convincente a livello narrativo; in quanto il pentimento è poco credibile). L'ascolto della prima Butterfly affascina ma, al tempo stesso, rivela i limiti della partitura per l'eccessiva lunghezza e la minore compattezza drammaturgica. Tra le differenze più interessanti, ne segnaliamo una, il duro contrasto tra Kate Pinkerton e Cio-cio-san: la prima si presenta come “Son la causa innocente di ogni vostra sciagura” e la seconda le chiede di non toccarla rifiutando di stringerle la mano (“Questo no..”).
Riccardo Chailly, artefice di questa straordinaria e storica operazione, offre un suono scabro e tagliente, la musica ha un peso quasi sinfonico con le grandi arcate intrise di realismo. Il lavoro sulla partitura è molto meticoloso e il direttore sottolinea sia i momenti di grande drammaticità che quelli più lievi e trasparenti in modo ottimale, ottenendo un “bianco e nero” di impronta naturalistica di grande impatto emotivo e profonda suggestione, invece dei toni acquerellati impressionistici che altri preferiscono. Eccellente la prova dell'orchestra scaligera.
Maria Josè Siri debutta nel ruolo del titolo e, alla recita in cui abbiamo assistito, ne viene annunciata l'indisposizione; il canto è molto sorvegliato e, in alcuni momenti, si percepisce che l'artista non sta bene, tuttavia convince pienamente per forza di voce e capacità di cogliere tutte le sfumature del ruolo con profonda convinzione. Bryan Hymel è a suo agio come Pinkerton ma non va oltre la routine; il tenore americano si è apprezzato in quanto non cerca a tutti i costi uno squillo potente ma individua nel ruolo i tratti più genuini e istintivi, considerando peraltro che questa edizione lo rende meno dolce e accattivante. Annalisa Stroppa è una intensa Suzuki, impegnata ad amplificare i sentimenti della protagonista. Carlos Alvarez presta la sua grande esperienza a Sharpless e ne sottolinea l'umanità in una prova vocale e attoriale di grande spessore. Nicole Brandolino è una Kate Pinkerton assai affascinante, non fredda e altera ma partecipe del dolore di Butterfly. Carlo Bosi è un Goro sonoro che si muove con disinvoltura, come deve essere colui che provoca gli eventi: la voce è potente e, in alcuni momenti, addirittura sovrasta quella di Hymel. Costantino Finucci è uno Yamadori riluttante e timido, tanto da dover essere trascinato per un braccio. Abramo Rosalen tuona le invettive dello Zio Bonzo dall'alto della casa, risultando ancora più terribile. Completano adeguatamente il cast Leonardo Galeazzi (Yakusidè), Gabriele Sagona (Commissario imperiale) e Romano Dal Zovo (Ufficiale del registro). Provengono dalla fila del coro le brave Marzia Castellini (Madre), Maria Miccoli (Zia) e Roberta Salvati (Cugina). Il coro scaligero è stato preparato in modo eccellente da Bruno Casoni.
Il bello spettacolo pensato da Alvis Hermanis è caratterizzato dalla scenografia che il regista ha ideato insieme a Leila Fteita: la facciata di una casa a tre piani con le pareti scorrevoli su cui vengono proiettate immagini video di Ineta Sipunova che mostrano acquerelli di paesaggi giapponesi, ritratti, fiori. Dietro questa apparente perfezione formale si annida il dramma che suona ancora più stridente. Sontuosi i costumi di Kristine Jurjane realizzati con stoffe preziose e operate. Perfette le luci di Gleb Filshtinsky nel rendere tutto con estremo realismo ma, al tempo stesso, sottolineando la teatralità della messa in scena. Le coreografie di Alla Sigalova forniscono un appiglio ai lunghi momenti puramente sinfonici con una teoria di ragazze che sembrano svolazzare invano, farfalle chiuse dietro i vetri come le protagoniste delle Signorine di Wilko. Il regista, coadiuvato dal drammaturgo Olivier Lexa, è attento a riproporre un Giappone d'epoca, eppure non documentaristico, di gesti fermi e ieratici, ispirati al teatro tradizionale giapponese, che rimandano a una spiritualità e a una ritualità estranee all'Occidente. Il rispetto del libretto è totale e ne guadagna la comprensione dello spettacolo, dove tutto sottolinea la estrema fragilità della protagonista, condannata al suicidio non dalle tradizioni familiari ma da un mondo di indifferenti.