Lirica
MADAMA BUTTERFLY

Macerata, Sferisterio, “Madam…

Macerata, Sferisterio, “Madam…
Macerata, Sferisterio, “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini BUTTERFLY FRA I CAMPI DI RISO Il tema della stagione lirica è l'inganno e Butterfly è personaggio esemplare da questo punto di vista, un inganno perpetrato con la complicità della differenza di età e di cultura, tanto che uno degli “aperitivi culturali” (quello in programma il 7 agosto) ha per titolo “Madama Butterfly: tra turismo sessuale e prostituzione minorile”, tema di cui si occuperà un giudice attento come Domenico Luigi Cerqua (anche se, invero, nel caso di specie Pinkerton non inganna, ma asseconda una consuetudine dell'epoca). Pier Luigi Pizzi debutta nella regia di Butterfly e disegna un Giappone essenziale e lineare, elegante come suo solito, calcando sull'intimità della vicenda e sottolineando il passaggio di denaro fra Pinkerton e Goro, a conferma che l'americano ha “comperato” Cio-Cio-San (anche se nella versione in scena allo Sferisterio, quella di Parigi, manca il riferimento di Butterfly ai “cento yen” e l'aria finale del tenore esprime il suo pentimento, due cose assenti dalla partitura data alla Scala). Una piccola casetta dalle pareti scorrevoli e vetrate e dai tetti leggermente spioventi non è sopra una collina ma in pianura e poggia tramite palafitta sopra una risaia con sullo sfondo un albero fiorito; si accede da ponteggi che si sviluppano in orizzontale, allungandosi agli estremi del palco. Nel primo atto ciuffi di verdura sorgono dal basso e fiori colorano le passerelle, narcisi gialli, azzurri, viola; nel secondo atto rimane solo l'albero fiorito, scompaiono fiori e risaia, lasciando una nuda distesa, segno immediato del vuoto (e della solitudine disperata, senza uscita) di Cio-Cio-San. Le luci di Sergio Rossi creano una atmosfera azzurrina intima nel primo atto oppure il bianco impietoso della rivelazione finale. Pizzi situa la vicenda negli anni Trenta, come si deduce dai costumi nei sobri colori terragni, però luminosi, mai cupi. Splendido l'abito di Cio-Cio-San del primo atto, veli e sete bianchi che avvolgono la figura rendendola davvero simile a una farfalla color del giglio. Il rispetto del libretto porta a una regia che consente di seguire facilmente lo svolgersi dell'opera. Interessante la metamorfosi della protagonista verso una occidentalizzazione senza possibilità di tornare più indietro, lei che ha reciso i ponti con il passato e la famiglia di origine e ha “isolato” la casetta, rimasta senza risaia e senza fiori, con i pontili appoggiati sul nulla. Durante il coro a bocca chiusa una processione di figure velate sfila sul palco, rasente il grande muro. Le coreografie di Roberto Pizzuto nel momento sinfonico al centro del second'atto vorrebbero visualizzare forse il sogno di Cio-Cio-San (un pas de deux tra i due protagonisti in una notte di luna) ma spezzano l'atmosfera rarefatta e piena di ansia dell'attesa notturna: sono però utili a catturare l'attenzione del pubblico estivo. Dubbi per il finale, dove Suzuki taglia la gola a Butterfly. Daniele Callegari è sicuro nel repertorio pucciniano tradizionale, il gesto è ampio, in modo che lo seguano anche gli ultimi coristi dell'immenso palco, lontanissimi dalla sua postazione, riuscendo così a raccordare alla perfezione buca e palco, cosa ardua allo Sferisterio. I tempi sono serrati, il suono è potente, drammatico e verista, innervato e ammorbidito dalle pennellate romantiche che la storia e il percorso umano della protagonista richiedono. Privilegia il sostegno ai cantanti piuttosto che il sinfonismo. Raffaella Angeletti offre una interpretazione attorialmente intensa: la sua Butterfly è ipersensibile e nervosa, ineccepibile nei gesti e nella mimica per rendere la trasformazione di Cio-Cio-San in un'altra donna: nel primo atto è giapponese nell'atteggiamento e nei passettini dentro lo splendido vestito, nel secondo atto è occidentale nel contegno e nella postura, nel finale è un “ibrido” efficacissimo tra l'abito orientale e le movenze che non sono più né tradizionali né americanizzate; la voce fatica a superare l'orchestra e a riempire gli spazi aperti, ma è ben timbrata, meno corposa nel centrale che nell'acuto e nel grave. Massimiliano Pisapia è un Pinkerton dal canto spontaneo e generoso, di indubbie doti timbriche. Claudio Sgura è uno Sharpless rigido e distaccato, altissimo fisicamente, vocalmente scuro e preciso. Adeguata la Suzuki piagnucolante e fedele di Annunziata Vestri. Thomas Morris è un Goro di grandi doti attoriali, che gli consentono di farsi perdonare la pronuncia poco precisa. Arrabbiatissimo lo zio Bonzo di Enrico Iori; in ombra lo Yamadori di Enrico Cossutta. Con loro Nino Batatunashvili (Kate Pinkerton), Antonio Maria Golini (Yakusidé), Matteo Ferrara (Commissario Imperiale), Alessandro Pucci (Ufficiale del Registro), Mirela Cisman (la Madre), Maria Elena Marinangeli (la Cugina), Roberta Carota (la Zia) e il coro lirico marchigiano preparato da David Crescenzi: il coro a bocca chiusa è sempre il momento più atteso dal pubblico. Sferisterio esaurito per una prima attesa anche come evento mondano. Pubblico soddisfatto e plaudente. Visto a Macerata, Sferisterio, il 24 luglio 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)