Milano, teatro alla Scala, “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini
LE LACRIME DI FIORENZA CEDOLINS
Mentre il pubblico si accomoda in sala si assiste a un work in progress, all'ultimazione della preparazione della scenografia: un gruppo di operai monta i pannelli laterali della casa di Cio-Cio-San, mentre altri sistemano lo stilizzato giardino operando dei piccoli solchi nel breccino bianco. Il rumore di quei rastrelli nel quasi silenzio, nel brusio che precede l'inizio della rappresentazione, denota la cifra registica: un segno che scava l'anima, una ferita nel cuore che non si può rimarginare.
L'allestimento è quello ormai storico della Scala, che ha debuttato nel dicembre 1985 ed è alla sesta ripresa, mantenendo inalterato il suo fascino. Un allestimento “giapponese” (regia Keita Asari, scene Ichiro Tadaka, costumi Hanae Mori, coreografie Hidejo Mori, luci Sumio Yoshii) legato alla tradizione, molto minimalista, anche nella gestualità, di grande raffinatezza. In un impianto nei toni dominanti del grigio ed in cui lo spazio aperto è protagonista (anche a discapito della resa dei cantanti, in parte penalizzati dalla mancanza di “cassa armonica” sul palcoscenico, essendo le quinte laterali aperte) si accendono improvvise macchie di colore: verde e fucsia per gli ombrellini del corteo nuziale, il bianco dei paraventi e l'arancio degli ombrelloni, i tappeti blu con sopra gli sgabelli di lacca rossa. Non mancano riferimenti al contrasto di razze e culture, quando Pinkerton rifiuta di indossare la veste tradizionale giapponese che gli offre Suzuki.
La scena più efficace mi è sembrata quella dell'attesa, con tre figure in controluce dentro la casetta, ombre incorporee, la dilatazione della sofferenza estrema di Cio-Cio-San; poi sul pizzicato degli archi con l'arpa dominante una “farfalla” in controluce si muove danzando lentamente, figura solitaria, farfalla senza ali ed a cui il dolore dell'abbandono non ha lasciato alternative che la morte. Forse sarebbe bastata una parola, un gesto, lo sfiorarsi di una mano..
Struggente la morte della protagonista in un mare di bianco, luci, scena, costume, viso incorniciato dai capelli neri sciolti e lasciati fluire sulla schiena: Cio-Cio-San si uccide inginocchiata su un tappeto immacolato, il pugnale si apre diventando un ventaglio rosso, mentre con l'ausilio di quattro servi di scena il tappeto bianco diventa rosso, macchia di colore che spicca, incancellabile. E urla il proprio dolore.
La grande attesa di questa Butterfly era per Fiorenza Cedolins al suo debutto alla Scala, da cui è stata ingiustamente tenuta fuori per troppi anni. La Cedolins è una donna intelligente ed ironica, ha una gran voce e, cosa ancor più importante, canta con il cuore. Non riuscirò mai a dimenticare un ruolo differente e lontano da quello che qui mi occupa, quella Anna Glavari di Trieste, cantata e recitata da manuale, sentita fin nel profondo dell'anima e resa in modo insuperabile. Dunque la Cedolins finalmente alla Scala. E con un ruolo che è uno dei suoi cavalli di battaglia. Già nel 1999 allo Sferisterio di Macerata aveva rivelato che il personaggio è nelle sue corde (per quell'interpretazione vinse un premio importante). Oggi è giustamente maturata, ha continuato lo scavo sul personaggio, riuscendo ad indagarne ogni piega recondita. Nel primo atto ha mostrato di essere visibilmente emozionata, dalla barcaccia gli occhi apparivano lucidi e la voce aveva delle nuance che rivelavano un'emozione palpabile. Poi ha sfoderato senza risparmiarsi i mezzi vocali a cui ci ha abituato, limitando la recitazione a pochi e significativi gesti, secondo le indicazioni registiche, apparendo come un cucciolo indifeso che si affida con piena fiducia nelle mani di chi ama e che però la tradirà. Ed ha mandato in visibilio il pubblico, giunto da ogni dove per lei.
Non all'altezza è apparso Aquiles Machado, sia per presenza che per vocalità; forse è un mio limite continuare a vederlo come il Nemorino dello Sferisterio di Macerata, ma Pinkerton sembra un ruolo troppo largo per la sua vocalità. Ottimo invece lo Sharpless di Gabriele Viviani, per presenza e voce adatto al ruolo; un baritono puro, con voce dolce ed emissione sicura. La Suzuki di Mihoko Fujimura ha esibito una voce potente e buona dizione. Con loro, appropriati sono stati Adelina Scarabelli (Kate), Mario Bolognesi (Goro), Simone Del Savio (Yamadori), Ernesto Panariello (lo zio).
Il Maestro Myung-Whun Chung ha diretto l'Orchestra scaligera in un modo inusuale, guardando spesso a terra, creando poca armonia tra buca, palco e coro. Il ritmo non era omogeneo in alcuni momenti del primo atto, meglio nel secondo. Ma si era alla prima, di certo si aggiusterà.
Alla fine un meritatissimo trionfo per Fiorenza Cedolins, che è uscita da sola ed ha avuto letteralmente un uragano di applausi, ovazioni, urla, tanto che è scoppiata a piangere, un'emozione anche per gli spettatori, che hanno pianto con lei. Di commozione. E per amore.
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 9 febbraio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)