Il Teatro Verdi di Padova, dopo l’inaugurazione della stagione lirica cittadina con Il barbiere di Siviglia e il concorso internazionale di canto “Iris Adami Corradetti”, ospita Madama Butterfly. Il giovane Paolo Giani riprende la messinscena che Beni Montresor approntò per la stagione 1995 – 1996 del Teatro Carlo Felice di Genova. La disadorna scena è sgombrata dagli inutili orpelli, solitamente abbinati alle culture orientali. Lo spazio, occupato da oggettistica essenziale, si sviluppa su due piani: a un’ampia zona che si prolunga fino al proscenio, si contrappone una parte rialzata, addossata al fondale, sulla quale, durante il primo atto, poggia la “casetta”. Le pareti laterali a specchio ampliano le superfici ed espandono il bianco, macchiato dai costumi rossi e neri. Di fondamentale importanza sono le luci alle quali Giani riserva particolare attenzione: i colori rimarcano i cangianti aspetti emozionali della vicenda. Il curatore dello spettacolo mette in evidenza le disparità tra mondo americano e giapponese con una recitazione impacciata da un lato e sobria dall’altro.
La direzione di Tiziano Severini pesa alquanto sulla alterna resa musicale. L’idea di fondo che muove il direttore romano è sottoscrivibile ma l’incapacità di trasmetterla sacrifica la resa dell’intera opera. Severini dilata eccessivamente i tempi, con dinamiche disequilibrate. La distanza che si viene a creare tra buca e palcoscenico penalizza artisti e coro, abbandonati a loro stessi, mentre il concertatore è interessato a far emergere l’aspetto sinfonico della partitura. In quest’occasione, però, l’Orchestra di Padova e del Veneto affronta con maggior finezza il proprio compito. Il Coro Città di Padova, sempre preparato da Dino Zambello, conferma alcune problematiche d’intonazione e imprecisioni, specie per quanto attiene gli attacchi, ma pare più incisivo del consueto nell’esecuzione della partitura pucciniana.
Il ruolo protagonistico spetta ad Andrea Rost. Il soprano ungherese ha debuttato Cio-Cio-San lo scorso anno e da allora ha vestito episodicamente i panni della geisha. Le potenzialità vocali paiono un po’ esigue ma non inefficaci: fatte salve tensioni in zona acuta e fraseggio a tratti scontato, vi è il registro centrale corposo, abbinato a spiccata personalità. Luciano Ganci, Pinkerton, è dotato di uno strumento dalla rara potenzialità. La natura tuttavia non è sufficiente a mascherare talune cadute nell’intonazione e una certa superficialità espressiva. Lo Sharpless di Giorgio Caoduro esibisce spontaneità scenica, fraseggio sensibile e bel timbro. Daniela Innamorati ha energia interpretativa ideale per Suzuky ma tende a ingrossare il registro centrale, indugiando in emissioni spesso discutibili. La maturità artistica di Max René Cosotti giova a dar corpo ad un Goro capace di reggere persuasivamente la frequente presenza in scena, come richiesto dalla regia. Il giovane baritono William Corrò è un valido, seppur perfettibile, Principe Yamadori. Al contrario, le prove di Sabrina Vianello, Kate Pinkerton, Abramo Rosalen, Zio Bonzo, e Francesco Milanese, Il commissario imperiale, non si distinguono per garbo e precisione. Completano decorosamente il cast vocale Gianluca Zoccatelli, Zio Yakusidè, Valentina Babusci, Zia di Butterfly, Simonetta Baldin, Cugina, Silvana Benetti, Madre. Il piccolo Sebastiano Corrò veste i panni di Dolore, figlio di Butterfly.
Applausi per tutti, al termine della recita, con appassionate accoglienze per Rost e Ganci.