Torre del Lago, “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini
BUTTERFLY INTIMA E LIRICA
Oltre duemila persone, strette nell’anfiteatro che guarda il lago di Massacciuccoli ed è scavato nella roccia, hanno tributato, con un’ovazione da stadio, il successo (quasi scontato) di questa ennesima Butterfly, un titolo che difficilmente può mancare a questo Festival. Questo problema se l’è posto certamente lo scenografo, il pittore piemontese Ugo Nespolo (al debutto nella lirica), che nel voler riproporre una nuova “versione” dell’opera ha realizzato un vero equilibrio tra ciò che si vede e ciò che si ascolta. Con un buon risultato, anche se non raggiunge livelli eccelsi. La regia è stata affidata invece a Stefano Vizioli, un veterano della regia lirica, che ha saputo essere in perfetta simbiosi con l’impianto scenico di Nespolo. Nulla di veramente nuovo ed eclatante, ma essenziale, sobrio, elegante e pertinente al libretto.
In questo Giappone da favola voluto dallo stesso Puccini e che ben poco ha a che vedere col vero, si innalza nel mezzo della scena un piano girevole, isolato, con alcuni oggetti essenziali in sintonia con lo spirito e i colori di quella terra, che rimandano però agli accostamenti cromatici di Piet Mondrain. Anche la regia ha seguito un filone abbastanza filologico, anche se poi sono mancate alcune sfumature proprie dell’opera stessa. Il primo atto è caratterizzato dall’evidente razzismo e superficialità dell’americano “colonizzatore”, un Pinkerton macho e sprezzante, e dalla passione di una Butterfly “giapponesissima” ma occidentalizzata per amore. La scena della “vendita” della giovane avviene in un clima festoso, dove risaltano gli abiti colorati e sgargianti delle donne, in cui subentra un gioco di pura poesia, femminilità, seduzione, di grande potere erotico, a cui si contrappone la drammatica entrata in scena dello zio bonzo e la successiva maledizione che rompe questa allegro e divertente scena corale, dove le luci diventano tenebre e emergono solo le fiaccole del terribile bonzo. Nel successivo grande duetto d’amore che prepara la notte nuziale il regista ha messo in luce il grande impatto erotico che la scena porta in sè, in una penombra con una vera luna piena sullo sfondo (casuale o voluta, certamente di grande impatto emotivo).
Il secondo atto, meno descrittivo - bozzettistico e più psicologico, è ambientato nella “casa a soffietto” che si trasforma in gabbia claustrofobica delle due donne, che vivono in simbiosi benchè diverse: vengono messi in evidenza gli sforzi di Butterfly di essere a tutti i costi americana (la croce, le poltrone di vimini, le sigarette, il whisky, l’abito occidentale), un castello che le crollerà addosso e che non le servirà a nulla quando si accorge di essere stata ingannata. Da evidenziare la scena della notte dell’attesa, giocato tutto sulle sfumature e sulla penombra e sull’immobilità trepidante della giovane, a cui fa da traino cinque minuti di musica passionale e struggente.
Unica nota la scena del suicidio, in cui nel voler rimarcare che Butterfly si uccide non per viltà ma per salvare l’onore come il padre, perde la sua grande drammaticità che si sarebbe realizzata perfettamente prendendo il libretto alla lettera: il suicidio deve avvenire prima dell’arrivo di Pinkerton e il bambino gioca un ruolo fondamentale, anche nel piccolo particolare della bandiera americana nelle sue mani, qua completamente ignorato. Per il resto la regia è molto valida e molto fresca, in cui si è voluto dare una dimensione intimistica all’opera.
Anche l’ottima direzione di Laurence Gilgore (americano ma di formazione italiana) ha voluto prediligere un Puccini intimistico e lirico, a cui non siamo abituati (quasi sempre viene proposto un Puccini passionale), tanto che dà l’impressione di una certa lentezza, ma cura l’analisi psicologica e la ricercatezza timbrica e vocale. Un plauso all’Orchestra del Festival, giovane ma motivata e coinvolgente, alla quale l'acustica non le fa l’onore dovuto, tanto da dare l’impressione che suonino in sordina... svantaggio di cui ne giovano i cantanti che riescono a ben figurare, anche chi non ha voce strapotente.
Nel complesso un buon cast, su cui domina il soprano russo Elmira Veda, bella voce pulita e cristallina e ottima recitazione: decisamente un’ottima Cio Cio San. Buona presenza scenica ma con una voce altalenate il Pinkerton di Carlo Barricelli, che certamente in un contesto diverso (al chiuso e senza l’altissimo tasso di umidità della serata) avrebbe avuto una voce più sicura. Decisamente bravi il baritono Luca Salsi nella parte di Sharpless, la Suzuki della canadese Annamaria Popescu ed Emanuele Giannino nella parte di Goro. Buona interpretazione anche per l’australiana Sally Wilson (Kate Pinkerton) e Giovanni Guagliardo (Yamadori e il Commissario imperiale). Deludente invece la parte dello zio Bonzo di Manrico Signorini.
Una nota finale di cronaca: quest’anno dovrebbe, finalmente, chiudersi l’epoca della vecchia arena, poiché è quasi ultimato (dovrebbe esserlo per il giugno 2008, 150° anniversario della nascita del compositore lucchese) un nuovo e modernissimo gran teatro all’aperto con una capienza di 3.200 posti nell’anfiteatro e con annessi un auditorium per 500 posti e una grande sala polivalente, oltre a tutto ciò che richiede un moderno teatro del terzo millennio, soprattutto una ricerca per un’acustica eccezionale. Il tutto ispirato al migliore inserimento nel contesto ambientale: infatti sarà immerso in un parco di oltre 41.000 mq, pienamente inserito nell’ambiente lacustre circostante.
Visto a Torre de Lago il 29 luglio 2007
MIRKO BERTOLINI
Visto il
al
Gran Teatro (all'aperto Giacomo Puccini)
di Viareggio
(LU)