Lirica
MADAMA BUTTERFLY

Una regia 'secondo musica'

Una regia 'secondo musica'

Vi sono allestimenti che nascono senza troppe pretese, ma che pian piano si fanno strada. E' il caso della “Madama Butterfly” presentata nel 2009 al Teatro Comunale di Bologna da una fresca diplomata della locale Scuola dell'Opera italiana, Giada Abiendi; personalità che si è fatta velocemente strada, ed è attualmente collaboratrice stabile dei laboratori di scenografia del maggiore teatro felsineo. Carriera ben meritata, vien da dire, valutando le successive sue altre realizzazioni – abbiamo a mente due spettacoli a base di Offenbach e di Pergolesi assolutamente deliziosi - e tenendo comunque presente la fortuna di questa sua scenografia pucciniana, che molto ha girato dentro e fuori il nostro Bel Paese. Dopo averla rincontrata a Jesi, Rovigo e Treviso, la “Butterfly” dell'artista comasca l'abbiamo trovata riproposta nuovamente –  sempre con i pertinenti costumi di Massimo Carlotto – al suo punto di partenza, quel Teatro Comunale che l'ha inserita come secondo titolo del cartellone 2015. Vari sono stati i registi che si sono cimentati nel tempo sulla creazione della Abiendi, che nella sua essenzialità prevede una sequenza di tipici archi quadrati giapponesi nel primo atto, una selva di rosse canne nel secondo - il labirinto in cui è rinchiusa la speranza di Cio-Cio-San - e solo un abbozzo d'isoletta con due passerelle, affacciate sull'acqua di un laghetto nel terzo: scarne interpretazioni visive, rese vivide dai pregnanti giochi di luce di Daniele Naldi. Dopo il primo, Alberto Triola, è stato Fabio Ceresa che forse l'ha più di tutti accompagnata in giro, Maggio Musicale Fiorentino compreso; ora è venuto il turno della regista Valentina Brunetti, altra collaboratrice fissa sia della Scuola dell'Opera, sia del Comunale, determinata ad aggiungere di suo qualche evidente variante: l'incontro a sipario chiuso del giovane Pinkerton Jr. con l'anziana Suzuki, l'apertura dell'atto primo al Consolato americano, con un sofà ed una scrivania presto tolti di mezzo; e per finire il suicidio per onore eseguito secondo giusta usanza con il 'jigai' (il taglio cioè della vena giugulare) e non con il più brutale 'harakiri' riservato ai soli uomini. In breve: tutto il metodo narrativo concepito dalla Brunetti appare a conti fatti assai pregnante (anche nei movimenti degli invitati nel primo atto), soprattutto per l'adozione d'una composta ma ben curata gestualità. Per noi, la migliore delle scelte di fronte a questo titolo lirico.
Poco c'è da dire della direzione di Hirofumi Yoshida. E' parsa senza carattere, in qualche momento anche disarticolata; e poi scelte di tempi non sempre adeguate, qualche intemperanza sonora e inusitate asprezze sparse qua e là: Forse il maestro giapponese pensava di concertare il “Pierrot lunaire” di Schönberg, ma Puccini è altra cosa. Così la protagonista, il men che trentenne soprano moldavo Olga Busuioc, interessante personalità uscita dai masters di Mirella Freni, ha faticato in qualche momento ad emergere dal tessuto orchestrale con la sua Cio-Cio-San: un peccato, perché grande è l'intensità del canto, sostenuto da un colore timbrico scuro e vellutato, sicura la condotta tecnica, fortissima l'immedesimazione emotiva esteriorizzata anche con una eloquente gestualità. Pregi che hanno trovato il loro apice nella scena della lettura della missiva di Pinkerton, là dove dall'ingenua tenerezza di «Date... Sulla bocca, sul cuore» Butterfly precipita nella disperazione senza fondo di «Ah! M'ha scordata!»; ma, a conti fatti, nelle sue mani neppure lo sciogliersi dello toccante finale è da meno. Un po' il contrario di Luciano Ganci, il quale nel suo Pinkerton ha messo insieme una recitazione così così ed una statura vocale di per sé affatto disprezzabile: accento aristocratico, timbro lucente e gradevole, liquido fraseggio; però però... quando si sta nella zona medio-alta, meglio evitare certe eccessive aperture di suono. Sia come sia, il sensuale duetto che chiude il primo atto è filato proprio come doveva, appassionato ed coinvolgente. Sharpless poi, è una figura che andrebbe recitata, quasi più che cantata: e qui c'era tutto, perché l'imponente sagoma di Filippo Polinelli si è calata benissimo nei panni del console americano, mentre il canto - generoso quanto a spessore, e franco nel fraseggio - fluiva rifinito ed elegante. Molto espressiva la Sukuzy di Antonella Colaianni; rigoroso e senza cachinnerie il Goro di Saverio Bambi; corretti lo Zio Bonzo di Nicolò Ceriani e lo Yamadori di Alessandro Busi. Senza mende il resto del comprimariato: Enrico Picinni Lombardi (Yakusidé), Marie-Luce Erard (la madre di Cio-Cio-San), Rosa Guarracino (la zia), Maria Adele Magnelli (la cugina), la piccola Francesca Vergata (Dolore), Paola Francesca Natale (Kate Pinkerton), Luca Gallo (il Commissario), Mauro Marchetto (l'ufficiale del registro). Come al solito, ineccepibile la prestazione del Coro del Comunale diretto da Andrea Faidutti. La seconda compagnia vedeva nelle parti principali Mina Yamazaki, Alessandro Liberatore, Domenico Balzani ed Elena Traversi.

Visto il
al Comunale - Sala Bibiena di Bologna (BO)