Venezia, teatro La Fenice, “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini
QUELLE ASSENZE INSOPPORTABILI
Madama Butterfly è opera non determinata dall'orientalismo in voga nel secondo Ottocento, quanto dalla necessità, già totalmente novecentesca, di seguire e raccontare un percorso interiore, quello di una donna innamorata che, per amore, rinnega i propri passato, famiglia e cultura e che viene ingannata da un uomo, volontariamente e coscientemente. Così il Giappone dell'ambientazione può rimanere sullo sfondo, come l'epoca può essere imprecisata. Nella sostanza si racconta un'assenza insopportabile.
Lo spettacolo di Daniele Abbado (produzione del Petruzzelli di Bari che debuttò al Piccini nel 2000) è tutto “giocato” sulle luci che colorano le pareti di una scatola. Una scatola biancogrigia, strombata, col pavimento lucido che specchia e moltiplica le presenze (e rende insopportabili le assenze). Una scatola (scena di Graziano Gregori) le cui pareti si colorano a seconda degli stati d'animo dei protagonisti. Le luci mutevoli (Valerio Alfieri) consentono infatti rapidi ed efficaci cambiamenti di climax che sono ancora più stridenti nel confronto con quelle pareti quasi ospedaliere, pareti che spesso celano presente inquietanti come ombre, presenze reali oppure proiezioni della fantasia di Butterfly, fantasmi che si incarnano con la forza potentissima degli incubi notturni. Evocati anche da grappoli di muti, immoti personaggi con maschere facciali.
Abbado, come suo solito, agisce rarefacendo: lo spettacolo è elegante ed essenziale. I movimenti scenici sono ridotti, prosciugati, non ci sono oggetti di scena (se non uno sgabello, un basso tavolo, un vassoio, tre cuscini), gli ingressi e le uscite delle masse sono anch'esse statiche, perchè il pavimento di fondoscena si alza e si abbassa, mentre i coristi sono fermi, consentendo di “apparire e sparire” all'occhio dello spettatore.
L'unica che agisce è Cio-Cio-San, è lei che ama, è lei che si dispera. È lei, ancora, che “detta” i colori delle pareti: viola-lutto per il dolore, rosa-primavera per la speranza, giallo-elettrico per il dramma familiare, celeste-mare per l'attesa, grigio-compatto per la certezza del non ritorno. Il finale è particolarmente forte: il fondo scena è una parete scrostata, lembi di carta penzolano inerti: un coltello incide nel centro la parete, tagliando il velo di carta e Butterfly crolla a terra, esanime.
Il risultato scenico è sottolineato dai costumi di Carla Teti, austeri, quasi monocromatici (se non fosse per quel rosso quasi peccaminoso di Cio-Cio-San), con rimandi vagamente orientali; monumentali, a contrasto, gli abiti dello zio bonzo e del principe Yamadori.
Nicola Luisotti ottiene tempi serrati ed un suono drammatico, dove vengono esaltati i picchi timbrici con grande vigore; spinge sugli archi esasperandone il suono al punto che sembra escano le fiamme dagli strumenti. Una direzione splendida. A cominciare dall'inizio, tesissimo, neorealista, cupo.
Butterfly necessita di una protagonista adeguata e Micaela Carosi è superba per forza e colore della voce, per linea di canto e per intensità emotiva. La Carosi rende il percorso completo del personaggio: acerba all'inizio, timida nel contegno, quasi infantile; nel duetto scopre la capacità di amare ben oltre la maturità dei suoi anni, con un 'intensità che la voce registra immediatamente, scartando verso il drammatico del sentimento, fino al finale estremamente lirico, gravido di pathos.
Massimiliano Pisapia è un adeguato Pinkerton, ma si limita ad una buona routine; Gabriele Viviani è un umanissimo Sharpless, vocalmente poco vibrante; azzeccata la Suzuki di Rossana Rinaldi. Con loro Elisabetta Forte (Kate Pinkerton), Bruno Lazzaretti (Goro), Alberto Rota (lo zio bonzo), Elia Fabbian (il principe Yamadori), Roberto Menegazzo (Yakusidè), Claudio Zancopè (il commissario imperiale) Cosimo D'Adamo (l'ufficiale del registro), Paola Rossi (la madre), Gabriella Pellos (la zia), Antonella Meridda (la cugina).
Teatro gremito, pubblico turistico ed internazionale. Dopo la recita si sono chiusi i bauli dei costumi, in partenza per Pechino: la Fenice porta questa Butterfly nel nuovo, avveniristico teatro della capitale cinese.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 30 maggio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)