Prosa
MAIDS

Una bella rilettura dalla recitazione carente

Una bella rilettura dalla recitazione carente

Maids è liberamente tratto da  Le serve di Genet (malevola traduzione italiana, domestiche rende giustizia all'originale bonnes) scritta nel 1946 e ispirata a un fatto di cronaca accaduto nel 1932 che vide le due giovani sorelle Papin uccidere ferocemente madre e figlia presso cui prestavano servizio come domestiche.

Nella commedia Claire e Solange, domestiche a casa di Madame, odiano a tal punto la padrona da immaginare di avvelenarla, provando ogni giorno, in una cerimonia, le modalità dell'avvelenamento tramite una bevanda al tiglio.

Impersonando a turno la padrona, le due sorelle si litigano il ruolo, tradendo una invidia che cela una legame simbiotico con Madame che vedono come madre numinosa e irraggiungibile la quale, nel momento stesso in cui le umilia, ribadendone la condizione di serve, ne ravviva la dignità, prendendole in considerazione dall'alto della sua affettata aristocraticità.

La messinscena di Fulvio Peroni, intelligente e ambiziosa, cerca di esplorare il tema del doppio facendone l'asse portante dello spettacolo.
Claire e Solange sono portate in scena da 4 attrici, che le interpretano, a turno, a due a due, mentre le due che non recitano restano di proscenio in posa plastica.

Una idea felicissima che moltiplica il rispecchiamento, quello delle due sorelle serve che si rintuzzano nell'odio di classe e quello con Madame cui cercano di sostituirsi, in un continuo rimando tra i personaggi (le due sorelle che a loro volta interpretano Madame) e le attrici che interpretano i personaggi.

A coronare questa felicissima intuizione registica Peroni, irriverentemente, fa interpretare Madame a un uomo, facnedo della donna un gagà effeminato anni 30.
L'affettazione con cui Genet dipinge i modi borghesi di Madame acquistano in questa rivisitazione uno squisito gusto camp amplificando il portato quasi grottesco del delirio di questa donna che si immagina vedova bianca del signore, l'amante, il quale, a causa di una lettera anonima di denuncia mandata a sua insaputa dalle due domestiche, giace in galera.

Una impostazione drammaturgica di primordine alla quale purtroppo non corrisponde una cura nell'esecuzione.

I cambi tra le interpreti, che ogni volta che si passano il testimone si scrutano come guardandosi in un specchio, sono goffi, mai davvero fluidi e, dopo il terzo cambio, risultano ripetitivi e stucchevoli.

L'interpretazione camp di Madame non è sviluppata fino in fondo e lascia irrisolti alcuni nodi drammaturgici.

Madame è un nome ironico per alludere all'omoerotismo del ragazzo?

Il ragazzo si (tra)veste da donna, visto che gli abiti di Madame sono squisitamente femminili?

La messinscena ignora queste domande e non individua, nelle possibili diverse risposte, materiale drammaturgico degno di essere esplorato.

Quello che manca di più allo spettacolo, però, è la recitazione, che, duole dirlo, si attesta a livelli imbarazzanti.

Manca alle quattro attrici una corretta pronuncia del testo (figuriamoci la dizione), che non viene mai sufficientemente scandito e non è sostenuto nemmeno da una adeguata presenza scenica.

Le attrici non sanno stare sul palco, non sanno prendersi la scena e danno sempre l'impressione di essere capitate lì per caso tanto il loro linguaggio del corpo tradisce una mancanza di sicurezza nel movimento e nelle sue intenzioni.

Infine Giorgio Conese, che interpreta Madame, ha una recitazione così stonata da sembrare la parodia di se stesso, con un effetto involontariamente comico che ne fiacca la trovata drammaturgica.

La responsabilità di far andare in scena attrici e attore così impreparate è tutta del regista che non si rende conto di mandare allo sbaraglio delle persone del tutto inadeguate a reggere la scena.

Visto il 23-09-2015
al Trastevere di Roma (RM)