Genova, teatro Carlo Felice, “Manon Lescaut “ di Giacomo Puccini
UNA PASSIONE DISPERATA
Manon Lescaut è la prima opera matura di Puccini e, come scrisse egli stesso, per distinguerla dalla coeva opera di Massenet ispirata allo stesso soggetto “Lui la sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti, io la sentirò all’italiana, con passione disperata” . La Manon Lescaut di Puccini è infatti incentrata sull’amore impossibile, frutto di una passione bruciante e maledetta minata alle radici; il peso delle costrizioni sociali viene attenuato a favore di una maggiore carica emozionale e la sfuggente donna-sirena di Massenet / Prévost diventa un personaggio tragico e contraddittorio, responsabile della propria e altrui sciagura e quindi ancora più dannato e ricco di sfumature. L’opera è caratterizzata da un fluire melodico in un amalgama di voci e orchestra organizzato attorno a temi che hanno valenza emotiva e narrativa e che, unitamente a una ricca orchestrazione, avvicinano questa opera alla lezione wagneriana, se pur rielaborata in una melodia all’italiana. Nella vicenda di Manon e Des Grieux aleggia un ‘altro grande amore destinato alla sconfitta e all’annullamento: quello di Isotta e Tristano, di cui non a caso viene citato l’accordo.
Al Carlo Felice è in scena la Manon Lescaut prodotta dalla Deutsche Oper di Berlino con la regia di Gilbert Deflo e scene e costumi di William Orlandi. Si tratta di uno spettacolo tradizionale, niente metafore o scelte interpretative di rottura proprie del “Regietheater” delle produzioni tedesche, piuttosto una illustrazione didascalica e convenzionale della vicenda. Pochi dettagli caratterizzano le diverse ambientazioni in un impianto scenico quasi vuoto: panche e boiseries da sala d’attesa suggeriscono la stazione di posta, una grande alcova drappeggiata di tulle è il fulcro del secondo atto, una passerella praticabile metallica sospesa divide in due la scena del terzo atto suggerendo carcere e separazione e infine due alti pilastri sono le “colonne d’Ercole “ che i due amanti oltrepassano in un viaggio di non ritorno nel deserto del Nuovo Mondo di sparute rocce rosse. La scena è chiusa sui tre lati da pareti bianche che, grazie alle belle luci di Roberto Venturi diversamente soffuse, restituiscono diversi toni di bianco in sintonia con la situazione: caldo avorio per il “primo amore” ad Amiens, bianco freddo per l’alcova che agghiaccia, grigio cinereo per introdurre la deportazione, un tramonto rosa che si fa sempre più livido con l’appressarsi della morte. Sul bianco spiccano per contrasto eleganti costumi rococò, espressione di un settecento volutamente astorico, un’età dell’oro ormai lontana di cui emergono i tratti più ipocriti e leziosi rivista con gli occhi disincantati dei tempi nuovi. Piuttosto inutile il caricaturale balletto eseguito da due ballerini dalle gote imbellettate (Clori) e le corna da satiro - caprone (Filen) che accompagna il madrigale per evocare il mondo fatuo di cui Manon è prigioniera.
Sulla scena succede ben poco, la recitazione è schematica, i movimenti sono prevedibili e dalla postura per lo più frontale priva di pathos e naturalezza, meglio ascoltare e concentrarsi sulla bellezza della musica e delle voci.
Micaela Carosi ha una bella voce, importante e drammatica, supportata da una linea di canto solida e ben controllata che le consente di risolvere bene i passaggi e i cambi di registro. A livello interpretativo la sua Manon è priva della istintiva sensualità, morbidezza e adolescenziale malizia che sono la cifra del personaggio, piuttosto timida nel primo atto, non lascia sufficientemente trasparire “nelle trine morbide “ l’ erotismo velato di amarezza, ma il personaggio cresce nel corso dell’opera e diventa più coinvolgente nella rappresentazione della sventura e disperazione, a lei più congeniali per vocalità e temperamento. Intensa nel quarto atto sia nel confronto con Des Grieux che nella sua grande aria, cantata in modo drammatico e vibrante ma senza inutili orpelli.
Walter Fraccaro ha una voce salda da tenore lirico-drammatico e una buona tecnica che gli consente di affrontare con onore l’ardua parte di Des Grieux. Il suo limite è di cantare (nonchè recitare) tutto allo stesso modo, per cui, anche se tecnicamente risolve i passaggi, la voce non offre le sfumature espressive che sono alla base del personaggio, che dovrebbe passare anche all’interno della stessa frase dalla passione, alla febbrile speranza allo sgomento.
Gabriele Viviani, dalla calda voce baritonale, è un Lescaut disinvolto e credibile di cui restituisce la giovanile sfrontatezza e il subdolo opportunismo.
Carlo Lepore, nonostante l’esagerata parrucca e il trucco da maschera della commedia dell’arte, è un Geronte che ha personalità e statura vocale tali da evitare la caricatura.
Edmondo è tratteggiato con bella voce da Carlo Bosi, Enzo Perone canta discretamente la canzone del lampionaio, non spicca il musico di Daniela Pini. Per concludere l’oste di Dario Giorgelè e il Maestro di ballo di Saverio Bambi.
Daniel Oren ha sostituito in extremis a pochi giorni dalla prima Riccardo Frizza (che aveva abbandonato l’incarico per non avere potuto provare sufficientemente con orchestra e cantanti) ed è stato accolto con calore e riconoscenza dal pubblico genovese. La sua concertazione è impetuosa e dal ritmo veloce, il direttore salta, ansima, dirige con grande slancio e autentico pathos. Come di consueto privilegia “l’effetto” allo scavo analitico, facendo grande uso di accelerazioni ed espansioni con una marcata inclinazione al “forte”, ma considerati i ridottissimi tempi di prova il risultato è eccellente e l’orchestra, grazie a un feeling palpabile con il direttore, asseconda il filo narrativo mantenendo alta la tensione senza troppe sbavature, offrendo buone prove solistiche nell’intermezzo. Una buona prova anche per il Coro preparato da Ciro Visco.
Per problemi di ordine tecnico l’opera è andata in scena senza sipario, per questo, in attesa che il sipario frangifiamme si alzasse completamente, si vedeva la scena con gli interpreti immobili e in posizione, un tableau vivant fuori programma in linea con il pastiche settecentesco.
Un avvio sofferto per una Manon Lescaut che ha incontrato il favore del pubblico e che ci auguriamo possa crescere ulteriormente nel corso delle repliche lontano da inutili polemiche e agitazioni.
Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 10 gennaio 2008
Ilaria Bellini
Visto il
al
Carlo Felice
di Genova
(GE)