Manon è opera che si presta ad attualizzazioni, a causa della pregnanza dei fili che ne tessono la trama: la forza travolgente dell'amore, il potere seduttivo della ricchezza, l'approfittamento dei rapporti di sangue per ottenere infami vantaggi, il bisogno insopprimibile della libertà. Per questo abbiamo visto negli anni molte trasposizioni, non sempre convincenti. Ma è sempre interessante vederne un allestimento tradizionale e ben fatto, come questo della Lyric Opera di Chicago (2005) in scena a Firenze.
Il regista Olivier Tambosi è abile nel muovere protagonisti e coristi nello spazio, facendo in modo che la storia si dipani in modo chiaro ed efficace, mai noioso. Sfrutta al meglio la realistica scenografia, ad esempio nel primo atto utilizzando la terrazza per diversificare e sfalzare gli spazi. Si vede la grande esperienza nella gestualità dei protagonisti, curata in modo preciso e con continue idee, legate sempre al libretto. Di sapore teatrale e bucolico l'intermezzo dei musici. Molto efficace il finale del secondo atto, in cui Geronte mette lo specchio davanti a Manon a terra in manette, lo stesso specchio che lei aveva usato in modo beffardo poco prima, rinfacciandogli di essere vecchio. Crudo il marchio a fuoco che viene impresso sul collo delle prostitute in partenza per le Americhe.
La scena di Frank Philipp Schlössmann ricrea meticolosamente quanto in libretto. Il primo atto è ambientato in una corte interna di case in mattoni e con persiane alle finestre; si accede alla piazzetta da un grande arco sul fondo chiuso da portone, a fianco del quale spicca una Madonna con Bambino ad affresco. Prima bancarelle e poi valigie e bauli al centro. Il secondo atto è in una camera azzurra dominata da un grande letto, due ampie finestre a destra, due porte di ingresso in fondo. Il cortile della prigione per il terzo è serrato tra due alti palazzi con scale al centro che, dopo una cancellata, conducono al porto, stagliandosi in lontananza un veliero. Una spiaggia con scogli per il quarto, schermata da un velatino. I costumi settecenteschi, sempre di Schlössmann, hanno lo stesso gusto oleografico; dominanti i toni dell'avorio e dell'avana; una giacca azzurra per Des Grieux all'inizio, voluttuosa la veste di Manon per il second'atto. Le luci di Gianni Paolo Mirenda (dal progetto originale di Duane Schuler) sottolineano nel modo migliore le ambientazioni e sono particolarmente suggestive nel porto di Le Havre.
Come giustamente osserva Giancarlo Landini nel programma di sala, il Novecento è la chiave di volta con cui Bruno Bartoletti entra in Puccini. La sua direzione è incline ai respiri del romanticismo ma aperta alle asciuttezze del verismo e proiettata verso sonorità già novecentesche prodighe di vibrazioni emotive che calamitano l'attenzione del pubblico. In particolare l'Intermezzo, eseguito a sipario chiuso, è stato reso in modo ottimale, restituendone la carica espressiva che inizia con un sussurro per poi erompere con grande forza, introducendo al dramma finale. L'orchestra è perfetta in ogni sezione, compresi i solisti, impeccabili.
Un dettaglio: l'allestimento arriva da Chicago, città dove il Bartoletti ha ottenuto due lauree honoris causa: Layola nel 1987 e Northwestern nel 1993.
Nel ruolo del titolo Adina Nitescu sfoggia una linea di canto sufficientemente solida, in grado di reggere una tessitura difficile come questa; la voce è importante nel registro centrale e gli acuti (spesso Manon deve salire) sono affrontati con sicurezza e voce piena; il soprano si muove con disinvoltura nel ruolo. Walter Fraccaro è un des Grieux grande lettore di libri, efficace quanto a volume ma un po' generico nel sottolineare le sfumature. Roberto de Candia è un Lescaut dall'aspetto poco severo (e per questo pericolosissimo) ma dalla voce bella, scura ed usata sapientemente in uno ad una curata attorialità. Adeguato il Geronte di Danilo Rigola, elegante e distaccato, non caricaturale. Andrea Giovannini è un Edmondo dalla voce piccola, tonante l'oste di Giovanni Bellavia. Stefano Consolini è il maestro di ballo, in verde e coi baffetti alla Dalì. Tiziana Tramonti è un musico di squisita musicalità. Con loro, adeguati sono il sergente degli arcieri di Giovanni Bellavia, un lampionaio di Bruno Lazzaretti e un comandante di marina di Lisandro Guinis.
Il Coro preparato da Piero Monti, vocalmente eccellente, è parso in alcuni momenti non in appiombo con l'orchestra.
Molto pubblico, vivo successo con prolungati applausi, soprattutto alla fine: il pubblico dei tradizionalisti è stato accontentato.