Ampia coproduzione, per questa Manon Lescaut dalla nuovissima mise en scéne. Partita a fine gennaio da Lucca (con una prima segnata da qualche infortunio ad alcuni interpreti), è approdata subito dopo a Modena e Rimini; quanto a noi, l'abbiamo raggiunta al Teatro Alighieri di Ravenna. Più avanti decollerà per Ferrara e Pisa, totalizzando alla fine sei sale diverse. Uniti si vince, come s'usa dire.
Regia solida e scorrevole, scenografia “ronconiana”
In effetti, le scene di Giuliano Spinelli – forti immagini architettoniche poste di sbieco, palesemente memori della Tosca scaligera di Luca Ronconi, che alla fine ruotano rivelando una roccia scabrosa ed incombente – dovrebbero essere facilmente smontabili e trasportabili, le raffinate luci di Marco Minghetti agevolmente replicabili. La visione registica di Aldo Tarabella, dal taglio nettamente tradizionale ed intelligentemente curata, anche nei movimenti di massa, ha molte frecce al suo arco.
Sceglie di ambientare la storia all'epoca sul finire dell'Ottocento, cioè negli stessi anni in cui l'opera pucciniana vide la luce. Ce lo rivelano subito gli abiti – li ha creati Rosanna Monti - della folla nella piazza di Amiens. La cosa funziona, ma dopo come fare? Ecco la genialata di immaginare, nel secondo atto, una Manon che si abbiglia da damina settecentesca per accompagnare Geronte ad un ballo in costume; e così anche la scena del madrigale, e la lezione di ballo hanno una loro coerenza. Quanto alle coreografie di Luigia Frattaroli, si inseriscono adeguatamente nel contesto generale; ma, a parer nostro, se ne potrebbe fare anche a meno.
Manon e Des Grieux, due ruoli irti di difficoltà
Dirige con giudizioso equilibrio Marco Guidarini, alla guida dell'ottima Orchestra Giovanile Cherubini. Rende la variegata partitura da concertatore esperto, attento e vigile, mostrando spiccato senso teatrale; e sa infondere ampio e sinfonico respiro alla mesta cantabilità dell'Intermezzo. Ai due protagonisti Puccini impose, come si sa, due ruoli musicalmente spigolosi, irti di difficoltà.
Il giovane soprano trevigiano Monica Zanettin debutta con queste recite nel ruolo di Manon, che ci pare senz'altro congeniale al suo temperamento. Nessun problema con la tessitura; l'emissione, espansiva, e la linea di canto, pienamente lirica; il fraseggio, sempre ben centrato; le inflessioni, chiare e spontanee.
Deliziosamente civettuola nella scena nel boudoir, struggente nel convulso epilogo nella landa sterminata; anche là, come in precedenza, la spalleggia bene il tenore Paolo Lardizzone – già allievo di Nazzareno Antinori, e si sente - donando un Des Grieux dolente e melanconico, eppure sempre assai virile. Per fortuna, mai inutilmente declamatorio, benché non gli manchi né lo squillo lucente, né la veemenza di accento; e senz'altro notevole è la varietà di fraseggio. Insomma, due soggetti da tenere d'occhio nel prossimo futuro.
Marcello Rosiello centra bene il carattere ambiguo di Lescaut, con misura e facilità di canto; Alberto Mastromarino tratteggia da par suo un eccellente Geronte, nonostante la caratura baritonale; l'Edmondo di Saverio Pugliese, al contrario, appare arruffato e discontinuo. Nei ruoli di fianco, il bravo Cristiano Olivieri (Maestro di ballo/Lampionaio), Irene Molinari (Musico), Marco Innamorati (Oste/Sergente), Alessandro Ceccarini (il Comandante). Buona prova del Coro Arché.