Era bruttina quando apparve nel 2010 a Venezia, questa Manon Lescaut; tale rimane ora che è riapparsa al Teatro Filarmonico di Verona. Per sottolineare forse la febbre giovanilistica che la pervade, il regista Graham Vick ci nega la piazza di Amiens, portandoci invece nell'aula di un college, affollata di indisciplinati allievi in divisa, poi in un luna-park con tanto di tiro a bersaglio dai coloriti pupazzoni ed un king hammer smisurato, mentre una giostra di grandi cigni sorvola la scena. Uno d'essi ospiterà Manon - arrivata con trecce bionde e l'aria da scolaretta - e Des Grieux in fuga per Parigi.
Troppi punti deboli nella messinscena
Il palazzo di Geronte è disegnato come un rosato bordello dove il parrucchiere è un sordido tatuatore, e il maestro di ballo un fotografo; ospita un teatrino dove la ragazza si offre seminuda ad un parterre di laidi guardoni cocainomani. Nel porto di Le Havre – reso solo da due passerelle metalliche - le prostitute in attesa d'imbarco sono appese ad alte gabbie che, una volta calate, diventano le loro sottogonne. E nell'ultimo atto resta solamente quella profonda voragine che prima si intravedeva sotto la scena, un putrido scavo urbano dove i due amanti si stanno smarrendo. Sopra di loro alcuni allievi del college lasciano uno alla volta l'alta balconata che la circonda. E l'ultimo getta sui morenti una stella filante. Fine.
Lo spettacolo d Vick, ripreso da Marina Bianchi, resta comunque ridondante per l'iperbolica ricchezza di componenti visivi; e comunque inconsistente e tedioso, perché alla fin fine manca una reale drammaturgia. Inoltre richiede un'attesa inverosimile – 50 minuti tra 2° e 3° atto! – per cambiare le scene di Andrew Hays. Kimm Kovac è l'autore dei variopinti costumi; insignificanti -ora come allora- le coreografie di Ron Howell.
Si salva – ma non tutto - il côté musicale
Interprete pucciniana per eccellenza, Amarilli Nizza nei primi due atti fatica un po' a rendere la figura adolescenziale e volubile di Manon; ma in seguito, quando la tragedia incombe, consegue esiti espressivi altissimi grazie al vigoroso temperamento drammatico, alla varietà di accenti e di inflessioni, all'accorta analisi d'ogni frase. Al punto da donare un “Sola, abbandonata” da brividi. Sung Kyu Park ci trasporta in una sceneggiata napoletana, poiché il suo rovinoso e singhiozzante Des Grieux assomiglia assai a o' zappatore di Mario Merola. Elia Fabbian infonde moderazione, giuste proporzioni e fluente cantabilità nel suo Lescaut; il Geronte del basso Romano Dal Zovo è alquanto cavernoso nel timbro; nondimeno la velenosità del tetro personaggio emerge bene, né gli difetta un'indubbia musicalità. Senza una piega l'Edmondo di Andrea Giovannini; buon comprimariato composto da Giovanni Bellavia, Alessia Nadin, Bruno Lazzaretti, Alessandro Busi.
L'Orchestra areniana è nelle mani di Francesco Ivan Ciampa, sicuro ed equilibrato nel trattare una partitura cangiante e variegata, per lui probabilmente nuova. Non gli interessano troppo i più teneri slanci lirici, preferendo portare in primo piano la varietà di colori, e rimarcare l'impetuosa e torrida passionalità che la penna di Puccini fa spuntare ovunque. Lettura non rifinitissima, forse; ma in compenso intensamente teatrale e molto coinvolgente. Corretto il contributo del Coro scaligero.
Spettacolo: Manon Lescauto
Visto al Teatro Filarmonico di Verona
Foto ©Ennevi