Lirica
MARIA GOLOVIN

Spoleto, teatro Nuovo, “Maria…

Spoleto, teatro Nuovo, “Maria…
Spoleto, teatro Nuovo, “Maria Golovin”, di Gian Carlo Menotti LA CECITA' CONTRO GLI ORRORI DELLA GUERRA Il teatro Nuovo, opera del settempedano Ireneo Aleandri (a cui si devono anche lo Sferisterio di Macerata ed i teatri di Ascoli Piceno e San Severino Marche, sua città natale), in epoca pontificia ingegnere del Comune di Spoleto, è stato riaperto dopo lavori di restauro (ancora odoroso di vernice fresca) con Maria Golovin, doveroso omaggio a Gian Carlo Menotti che l’ha composta nel 1958, anno della prima edizione del Festival dei Due Mondi. La partitura rivela quelli che sono i caratteri del linguaggio espressivo di Menotti: una melodia di grande comunicativa, una scrittura musicale improntata a moduli operistici tardo ottocenteschi, principalmente pucciniani e postpucciniani, la conoscenza dei meccanismi del mestiere teatrale, la scelta di soggetti legati all’attualità, elaborati in libretti (da lui stesso composti) semplici ed efficaci. In questo caso, però, ad un primo atto vivace e interessante ne seguono altri due meno coinvolgenti, dove alla fine prevale la noia. L’interessante allestimento di Vincent Boussard scarnifica l’opera fino all’essenziale e rivela, dietro la patina melodrammatica, la modernità di alcune idee. Come la cecità di Donato, più che elemento strappalacrime, spunto psicanalitico, in quanto traccia di enorme sofferenza e indice di ipersensibilità, elemento psicosomatico, nel senso di reazione agli orrori della guerra o di una insopportabile violenza, il rifugiarsi in un mondo più consono a chi non sopporta più il reale. Per il resto la vicenda scorre via con pochi momenti di azione, anche dal punto di vista dei sentimenti, perché se è vero che l’incipit è ben costruito e credibile (l’arrivo di Maria e l’innamoramento con Donato), il finale è forzato, poco sostenibile (Donato crede di avere ucciso Maria e fugge con la madre). Le belle scene di Vincent Lemaire rendono perfettamente l’idea registica, creando tre ambienti essenziali, come i costumi di Christian Lacroix. Il risultato è un’abile sottolineare la drammaticità dello scontro dei sentimenti, assecondato dalla tinta dominante nell’orchestra, inquietudine ed attesa. David Abell dirige con mano sicura l’orchestra del Festival, dosando i volumi, sostenuti nei momenti di forte intensità emotiva, equilibrati nei momenti più intimi e si allinea a regia e scenografia: la sua direzione alleggerisce la partitura dagli elementi del verismo, la spoglia dagli aspetti più sentimentali e anacronistici che, forse, ne hanno decretato il poco successo quando debuttò. Nel cast ha primeggiato uno straordinario, intensissimo, Paulo Szot (Donato); accanto a lui l’affascinante Nuccia Focile nel ruolo del titolo e la drammatica Madre di Eugenie Grunewald. In scena anche Sophie Pondjiclis (Agata), Jacques Lemaire (Zuckertanz), Chris Pedro Trakas (il prigioniero) e il piccolo Louis Lemaire (Trottolò). Un'opera rara a vedersi. Peccato per il teatro quasi vuoto e per i sopratitoli, che traducono con approssimazione e troppe inesattezze l'originale testo americano. Visto a Spoleto, teatro Nuovo, il 5 luglio 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto (PG)