Macerata, arena Sferisterio, “Maria Stuarda” di Gaetano Donizetti
CHE SORPRESA, MARIA STUARDA..
Che sorpresa, questa Maria Stuarda.. a sorpresa la migliore opera quest'anno allo Sferisterio.
Maria Stuarda è l'ultima opera delle tre in cartellone e si comprende così come evolve e si conclude il progetto artistico: una prigione. Il gioco dei potenti è una prigione. Ma anche l'amore di Leicester è una prigione, la fede e l'orgoglio di Maria sono una prigione, il potere politico di Elisabetta è una prigione. “Il potere logora chi non ce l'ha” disse un giorno Andreotti, che di possesso di potere sembra intendersene; “il potere è una prigione per chi ce l'ha”, chiosa efficacemente Pizzi.
Il palcoscenico è nudo, occupato da griglie metalliche, spogliato di tutto, lasciando solo gabbie. Di ferro. Ma anche immateriali. L'amore. La fede. E quelle pedane da cui si sale e si scende, il gioco del potere.
L'orchestra mostra subito la tinta scura dell'opera; nel momento intimo del clarinetto solista Maria riceve la comunione da Talbot, poi sfila un silenzioso corteo in sontuosi abiti rinascimentali: ovvio che la Scala abbia comperato questi splendidi, preziosissimi costumi per l'allestimento milanese dell'inverno 2008. Maria osserva l'azione dai margini del palco, silente, una tempesta nell'animo, la fede in Cristo, l'amore per Roberto, l'orgoglio per la natia Scozia, la rabbia contro Elisabetta dopo gli anni interminabili di carcere: di certo il giovane librettista Bardari non aderisce alla teoria (fatta propria, tra gli altri, da Dacia Maraini, che fa dire a Maria, riferendosi a Elisabetta, “se una di noi due fosse stata un uomo il nostro sarebbe stato un matrimonio perfetto”) che vuole una comunione di anime tra le due regine, anzi il tono è rabbioso e violentissimo: “Figlia impura di Bolena, parli tu di disonore? / Meretrice indegna e oscena, su te cada il mio rossore. / Profanato è il soglio inglese, vil bastarda, dal tuo pie'” (è storia che la Malibran si ostinava a cantare la celebre sequela di epiteti ignorando la censura e così provocò la cancellazione dell'opera alla Scala dopo solo sei repliche, mentre a Napoli, dopo la prova generale, si erano rifiutati di darla al San Carlo).
Il ruolo del titolo doveva essere sostenuto da Mariella Devia e, dopo la sua rinuncia per gravi motivi familiari, è stato affrontato da Maria Pia Piscitelli con determinazione e forza e con una bella voce tornita e brunita, una Maria estremamente dignitosa, nella vita e nella morte, appagata, calma e serafica, che esplode nell'invettiva, dopo le provocazioni della gelosa Elisabetta, fino a togliersi un guanto, sbattendolo per terra: un gesto che dà immagine a uno sfogo sincero e liberatorio, il trionfo del coraggio sulla paura, della libertà sulla soggezione, della verità sulle bugie: una sfida al gioco dei potenti (una Stuarda che rimanda a quella volitiva di Katharine Hepburn più che a quella giovanissima di Vanessa Redgrave). La Piscitelli chiude poi l'atto senza sovracuto, quella nota che non è nella scrittura ma che è passata nella consuetudine come sfoggio di belcanto: la Piscitelli è intelligente e adegua alla propria vocalità la partitura con un risultato eccellente. Sarà interessantissimo ascoltarla fra poco alla Scala nel ruolo di Elisabetta.
Ha pienamente convinto la Elisabetta nervosa e scattante del mezzo Laura Polverelli, che ben sostiene la parte sopranile senza fatica, grazie a un mezzo vocale esteso, piacevole e in grande forma, usato nel migliore dei modi. La Elisabetta della Polverelli, che è anche una brava attrice, rappresenta un potere spietato ed è mossa da un tormentato desiderio di liberarsi della rivale in cui vede ciò che essa non è, una creatura dolce, indifesa e fiera, circondata da persone che la amano.
Ottima la prova di Roberto De Biasio nel ruolo di Roberto di Leicester, voce potente, timbro classico tenorile, estensione notevole, buon registro centrale, acuto squillante. Non da meno la affettuosa e fedele Anna Kennedy di Giovanna Lanza, il Talbot raffinato e di bell'aspetto di Simone Alberghini e l'odioso Cecil di Mario Cassi. Un giovane e ottimo cast, appropriato e convincente sotto ogni punto di vista, magistrale nel sestetto che precede la celeberrima invettiva.
Riccardo Frizza, che aveva già diretto Maria Stuarda nel marzo 2006 a Roma (invece nel 1997, sempre a Roma, era stata affidata a Daniele Callegari, qui scritturato per Macbeth), è uno specialista del repertorio ed ha condotto la Filarmonica Marchigiana mantenendo i giusti tempi, senza essere né frettoloso né metronomico, ma portando musicisti e cantanti ad un ritmo serrato e appropriato. Buona la prestazione del coro lirico marchigiano, peraltro non di rilievo nell'economia di quest'opera.
Pier Luigi Pizzi, autore di regia, scene e costumi, propone una adesione totale al libretto, riletto con rigorose notazioni storiche, che si spingono fino a vestire Maria di rosso al momento della decapitazione, con il boia che le strappa il collo di velluto dall'abito di seta, come narrano le cronache dell'epoca. Sulla scena perfetta, scarnificata, si stagliano i costumi sontuosi, di una bellezza da lasciare senza fiato, che risalta ancora di più nel contrasto con l'essenzialità del contesto in cui i personaggi si muovono, perfettamente illuminati da Sergio Rossi.
Pubblico non numerosissimo ma entusiasta, giustamente: questa Maria Stuarda è da vedere. E da ascoltare.
Visto a Macerata, arena Sferisterio, il 29 luglio 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Arena Sferisterio
di Macerata
(MC)