Venezia, teatro La Fenice, “Maria Stuarda” di Gaetano Donizetti
MARIA STUARDA COME MRS PAC-MAN
Maria Stuarda di Friedrich Schiller rappresenta un momento fondamentale per la letteratura dell'Ottocento, non solo tedesca. Infatti il dialogo tipicamente illuminista che portava alla comprensione ed alla crescita mediante il confronto dialettico viene sostituito da un parlare senza incontrarsi, un girare labirintico della parola e del pensiero, espressioni dello scontro inesorabile del mondo reale e di quello ideale. Labirinti della mente, nel romanticismo. E labirinti sono i meandri dei palazzi reali e dei luoghi di potere in genere. Come anche labirintiche sono le passioni, principalmente quelle d'amore.
Da qui parte Denis Krief per questa sua Maria Stuarda, in cui una forte idea scenografica pervade ed impronta la regia. La scena è un labirinto sopra una pedana fortemente inclinata, dove i personaggi si inseguono senza mai trovarsi, si cercano senza mai incontrarsi, perdono sé stessi, mentre cercano sé stessi, l'amore, la libertà. I costumi fanno riferimento a un'epoca storica imprecisata, più vicina all'Ottocento che non al Cinquecento. Le luci colorano il labirinto secondo lo stile di Krief, verde, giallo, azzurro, rosso. Colori che spiccano contro la parete grigioscura di fondo che lascia intravedere i muri e i tubi dell'architettura teatrale.
Il labirinto, che dovrebbe essere di siepi di bosso, qui è di parallelepipedi grigi, volumi squadrati pieni di spigoli e angoli che salgono e scendono. L'attenzione del regista è sull'umanità, prima che sulla dimensione nobile e regale del rango sociale: Elisabetta è una donna dominatrice, dalla forte volontà e dal carattere deciso, abituata a prendere decisioni anche difficili ed a farle rispettare. Una Elisabetta poco regale a cui si oppone una Maria poco pia ma con un'aura di naturale superiorità: entrambe donne, prima di tutto. E, praticamente, l'unico incontro è quello di Maria ed Elisabetta, che si svolge in uno spazio circoscritto come un ring, dove Elisabetta, non più amata da Leicester, si trova davanti la rivale. Un unico incontro si risolve in uno scontro.
Tutti i personaggi si muovono come nel videogioco Mrs Pac-Man, si muovono tortuosamente in stretti corridoi ad angolo retto senza mai trovare vie d'uscita, salendo e scendendo scale. Il regista, proprio per evitare il continuo effetto di costrizione nella gabbia, nel secondo atto fa aprire il “labirinto” che, allargandosi, rivela, nell'intreccio di tavole e graticci che lo sostengono, un sottobosco tortuoso, in cui ci si muove a fatica e mai in maniera rettilinea.
Fabrizio Maria Carminati dà una lettura piana, precisa, adeguata, coi giusti tempi e sottolineando i colori orchestrali. Fiorenza Cedolins debutta nel ruolo del titolo: la voce è nitida e di notevole spessore drammatico; qualche carenza in agilità è compensata da centrali sontuosi e da gravi bruniti, per cui convince maggiormente nei momenti lirici che in quelli belcantistici; il verso è scolpito nella declamazione: da brivido la famosa invettiva. Ottima Sonia Ganassi: la sua Elisabetta non ha dubbi vocali e si trova a proprio agio nella tessitura, resa con una solida e compatta linea vocale e notevoli notazioni espressive. Ha bel timbro ma tradisce qualche imprecisione il Roberto di Josè Bros. Bene Mirco Palazzi (Talbot); adeguati Marco Caria (Cecil) e Pervin Chakar (Anna Kennedy). Buona la prestazione del coro preparato da Claudio Marino Moretti.
Teatro gremito, pubblico plaudente per tutti, tiepido con il regista.
Visto a Venezia, teatro La Fenice, il 24 aprile 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)