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MARILYN MONROE FRAGMENTS

Una venere umana di nome Norma

Una venere umana di nome Norma

Paura, insicurezza, fragilità.  E ancora paura. E ancora fragilità. La Marilyn di Mariangela D'Abbraccio sfugge i cliché della bionda ammaliatrice e si lascia leggere dentro come in un libro aperto. Dal testo fatto voce e corpo prendono forma e vita due volti di una stessa donna: l'uno nero e l'altro bianco. La Norma Jeane gonfia di tristezza e paure e la Marylin tutta lustrini, successo e  paillette. Senza l'una lo show business non avrebbe conosciuto l'altra. La verità è che Norma era malata di depressione da molti anni. Mai ragazza aveva mendicato lustrini e visibilità come lei aveva mendicato amore e attenzione. Rifuggendo le sue paure si era nascosta davanti alla macchina da presa. Qui si stabilì e da qui cercò subito di guardarsi intorno, in cerca di ciò che gli era venuto a mancare, cioè una vita fatta di serenità. Non la trovò mai. I fantasmi del passato occupavano spazio. L'erba è verde, pensava. Ma gli occhi vedevano che l'erba stingeva e trascolorava. Sia che il successo non fosse sufficiente a compensare il suo smarrimento, sia che avesse ereditato una goccia di troppo di quell'umor nero che fluiva nelle vene di una famiglia sconosciuta, fatto sta che la pace e il senso di appagamento non lo conobbe mai.

Nessuno, quando era diventata la Marilyn perfetta, la venere inavvicinabile e bellissima, si era accorto che in una tasca, dietro una coltre di stoffa, conservava una penna e, in un'altra, un taccuino su cui scriveva.  Gli anni  intanto correvano  tra incontri (non ultimo quello col manicomio), tristezze, senso di inferiorità e di non accettazione... Tutto meticolosamente registrato con l'inchiostro, intrappolato nell'inchiostro. Lei non smetteva di scrivere. Noi, a distanza di anni, possiamo leggere. E portare a teatro.

La scenografia dello spettacolo diretto da Carmen Giordano è semplice, i tagli di luce netti e importanti. D'altra parte Marilyn è nata sotto quelle stesse luci. I modi del narrare dell'attrice napoletana, accompagnati dal tessuto musicale sofisticato ma discreto del contrabbasso di Raffaele Tonielli sono molteplici, venati di cruda poesia che mescola  lo sfogo puro di Norma con  le canzoni cantate con ugola da usignolo dalla Marylin pubblica, riuscendo ad evocare e ritrarre il mondo intimo e stupefacente di una donna che ha incantato generazioni.

Mariangela D'Abbraccio insegue squarci di testo senza concedersi un secondo di pausa, senza lasciare allo spettatore quell'istante che gioverebbe  a raccogliere i pensieri. La narrazione rincorre fin quasi ad accavallare frammenti diversi, flussi di pensiero diversi.  Ma qui è di uno sfogo interiore che si parla e se manca una variazione di registro, un “momento di scarico” in cui riprendere fiato  non si può fargliene troppo torto. 

Visto il 11-04-2014
al Fontana di Milano (MI)