Lo spazio è nudo. Solitario totem emerge dal buio l’asta di un microfono. La quarta parete è chiusa da un velo trasparente su cui campeggia la scritta Nazareth Basilica dell’Annunciazione. E’ da qui che si parte, lo spiega Luca Doninelli nel programma di sala: “Lì assistetti a una fila quasi ininterrotta di donne mussulmane che rendevano omaggio alla Madonna”.
Nasce così Maryam del Teatro delle Albe, una partitura in quattro movimenti scritto da Doninelli, già in passato con la formazione ravennate, messa in scena da Marco Martinelli e affidata alla sola voce di Ermanna Montanari.
Chi è Maryam?
Nella tradizione coranica Maria è la madre del profeta Gesù, in quella cristiana di Dio. E’ madre, dunque, e questo basta perché sia donna dell’incontro. Di culture, certo, di fedi, ma soprattutto di dolori: il dolore inspiegabile per la perdita di un figlio, come nel caso di Douha e del suo Alì dai riccioli biondi. Il dolore di Zeinab è invece la scomparsa dell’amica Sharifa rapita e venduta, quello di Intisar infine il fratello fattosi kamikaze. Zeinab, Intisar e Douha innalzano a Maryam una feroce preghiera e chiedono vendetta per quanto hanno subito, così tra le macerie di città siriane che si materializzano in primo piano e pennellate di colore sul fondo della scena la Montanari dà voce alla rabbia e alla pena di donne impotenti nella loro disperazione.Ma non c’è forse la medesima disperazione anche in Maryam? Davanti al crocifisso ha implorato Dio, ma nessuna risposta è mai arrivata e dunque perché mai dovrebbe perdonarlo? Un figlio, un fratello, la più dolce delle amiche si perdono nelle assurde derive di guerre e di protervia umana, generando vuoti incolmabili e ferite che non potranno mai rimarginarsi.
Del dolore che si fa voce
Da sola in scena la Montanari assottiglia la sua presenza, lasciando posto al puro suono della voce. Una voce sorda, a tratti aspra, scossa da dissonanze nelle preghiere delle prime tre donne, che si acquieta poi in un timbro materno nel monologo di Maryam, quando è la stessa densità vocale a farsi parte integrante del suo dolore. L’intero meccanismo sonoro si completa con la musica di Luigi Ceccarelli che, complici le percussioni di Marzouk Mejri, investe la platea unendo in un abbraccio ideale spettatori e attrice.Le ingiustizie del mondo si svelano in tutta la loro miserabile crudeltà e neanche Maryam, invocata come erinni vendicatrice, riesce a lenire tanta sofferenza. L’unica cosa che può promettere è quella di condurre le altre donne “nel cuore del mondo dove nessun figlio muore”. E’ questa l’ultima battuta dello spettacolo, solo a quel punto Ermanna Montanari può deporre il fardello di cui si è caricata e lasciarsi inghiottire dal buio che invade il palcoscenico. Il corpo è scomparso, la voce si è spenta.