L'odio e l'amore estremi che generano follia e vendetta sono ciò che di più umano resiste ai secoli , ma anche ciò che conduce ai gesti ritenuti più disumani ed efferati. La Medea di Seneca nella rilettura di Pierpaolo Sepe è il furor personificato, generato dalla negazione di ogni diritto e di ogni affetto. Tutto è tolto a Medea, straniera che ha rinnegato e tradito familiari e patria per Giasone che la abbandona per sposare Creusa, figlia del re Creonte. Nulla le rimane, non le viene concesso né un luogo dove vivere isolata, né la compagnia dei figli e il pavido Giasone, per il quale lei ha commesso truci nefandezze, le accolla ogni colpa con una leggerezza dimentica di qualsiasi complicità passata.
Maria Paiato incarna la vendetta senza pudori, nera, cieca e folle, con movenze contorte e monologhi tormentati, laddove l'amore materno si scontra con la più terribile delle vendette che deve passare attraverso la morte dei figli in quanto generati da chi deve essere punito. Medea non è solo una donna furiosa e disperata, è un archetipo di follia che nasce da un errore precedente. Il corifeo (il bravo Dario Sepe), memoria storica che unisce un passato remoto con i fatti sulla scena e citazioni alla nostra attualità, ammonisce che "il passato struttura il presente". La spaventosa negazione dell'amore materno non è che la conseguenza della violenza alla geografia e alla separazione dei mondi attuata da Argo. Difficile non vedere un legame, insinuato con riferimenti a Cuba, all' Unione Sovietica o alla potenza degli Usa ( il cui simbolo appare al centro del palco), con la disparità tra paesi dai quali si fugge ed altri dove ci si rifugia stranieri. Maria Paiato indossa un velo sul viso, una sottile separazione da chi la rifiuta, forse anche un riferimento ad altro credo ed altra cultura, per parlare con un Creonte abbigliato da texano. E' da lui disprezzata in quanto straniera, nulla di ciò che può dire viene accolto con moderazione o giustizia, solo l'odio e il pregiudizio prevalgono. L'ira diventa furor smisurato e la voce della protagonista, mentre prepara la vendetta con le sue arti magiche, è sinistramente riportata da un'eco che la ripropone in veste diabolica.
Coraggiose e foriere di lettura stratificata le scelte registiche e scenografiche. Tutto si consuma all'interno di una stanza che pare una via di mezzo tra un peristilio e una fabbrica in rovina. Al centro un braciere con una tavola con la scritta "United States". Sembra di cogliere un riferimento alla decadenza del mondo occidentale, bramato ed inseguito per rivelarsi fallibile e corrotto. "Il mare profanato esige la sua vendetta": tutto è consequenziale. Pelia priva Giasone del regno e lo induce a partire per la Colchide, il mare viene solcato e delitti vengono perpetrati, Medea rinnova e vendica il tradimento con il sangue, così chi viene sfruttato e rifiutato odia con la più cieca violenza che porta alla guerra tra popoli.
Ottima lettura fedele e, al contempo, innovativa di un mito senza tempo.