Lirica
MEFISTOFELE

Tra luce ed ombra: “Mefistofele” di Boito è sempre un atto di fede

Mefistofele 
Mefistofele  © Rolando Paolo Guerzoni

«Il Mefistofele si ama o si odia: per accettarlo è necessario quasi un atto di fede, un salto della ragione e della ragionevolezza» scrive il direttore Francesco Pasqualetti nelle note di sala dell'opera di Arrigo Boito. Da lui proposta in apertura della Stagione 2022/23 del Teatro Pavarotti-Freni di Modena, prima di replicarla a breve in quel di Piacenza. 

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Partitura imponente quante poche, non fosse altro per la sterminata massa di esecutori in campo - nell'Ave Signor, coro doppio e voci bianche - il Mefistofele era un tempo assai popolare, cavallo di battaglia di tanti grandi bassi: da Šaljapin a Neri, da Ghiaurov a Ramey. Negli ultimi cinquant'anni, ahinoi, opera man mano sempre meno frequente. Tanto che non molti melomani possono vantare d'averla vista più volte – per dire, chi scrive si sobbarcò vent'anni fa un non breve viaggio sino al Marruccino di Chieti – e qualche appassionato d'opera forse neppur una.

Apoteosi del kitsch? Forse, però affascinante

L'allestimento che vediamo a Modena discende da una produzione Pisa/Lucca/Rovigo del 2016, per più motivi. Il direttore, intanto è il medesimo, e stesso il regista, Enrico Stinchelli. Poi ne viene recuperato in parte l'apparato scenico allora firmato da Biagio Fersini, anche se Stinchelli lo rivede a fondo, arricchendolo di significati simbolici come nel Prologo, rappresentandovi la Creazione dell'Universo e di Adamo ed Eva.

Ne disegna poi nuovi costumi che mescolano più epoche –  in realtà erano più consoni i precedenti - e sfrutta ancor più a fondo delle videoproiezioni curate da Angelo Sgalambro. Quanto all'inserimento delle coreografie di Michele Merola, realizzate dai solisti di Agora Coaching Project, in realtà ci sembrano decisamente in contrasto col resto. 

In definitiva il risultato complessivo palesa momenti di alterno valore drammaturgico, comunque appare maggiormente meditato e persuasivo del precedente esperimento. Anche nel monumentale Prologo, ardua pagina che a Stinchelli riesce immaginifica e poeticamente irreale.

Antonio Poli e Simon Lim

I fiati, i fiati...

E proprio nel Prologo, qualche sbilancio iniziale nei fiati dell'Orchestra Filarmonica Italiana è poi rientrato, e la compagine emiliana nel proseguire il suo lavoro ha assecondato bene la scrupolosa direzione di Francesco Pasqualetti. Bacchetta sempre vigile ed attenta a coordinare le masse, equilibrata nella scelta delle dinamiche, saggiamente aliena da troppa enfasi pur trattando una partitura – ammettiamolo – a tratti un tantino gonfia di retorica, e quindi da tenere stretta alle briglie. 

Il Coro Lirico di Modena e quello del Teatro Municipale di Piacenza si sono uniti, adoperandosi senza imperfezioni sotto l'esperta guida di Corrado Casati. Il Coro di voci bianche del Comunale di Modena è stato accuratamente preparato da Paolo Gattolin. Bravissimi anche loro.

Simon Lim e Antonio Poli

Mefistofele ben cantato, poco interpretato

Simon Lim debuttava parte del titolo, e come basso nobile avrebbe tutte le carte in regola: la voce è morbida e potente al tempo stesso, ben amministrata, dal bel colore ed omogenea in tutta la gamma, ed anche il fraseggiare è corretto. Mefistofele è però un personaggio multiforme e complesso, del quale il cantante coreano non riesce a rendere né il ghigno sulfureo e beffardo, né l'irriverente, rabbiosa malignità.

Antonio Poli – alle prese con il suo quarto debutto del 2022 dopo Manrico, Cavaradossi e Oronte - plasma per noi un Faust più oratoriale che operistico: perché se la vocalità è fluente, gradevole e limpida, ben tornita e svettante negli acuti (qualcuno in realtà un po' forzato), quanto carattere siamo prossimi allo zero, non riesce a organizzare un personaggio che gli sfugge di mano. Si salva però, giusto alla fine - con un meditabondo «Giunto sul passo estremo» intriso di buon pathos.

Simon Lim, Antonio Poli e Marta Mari

Una Margherita di tutto rispetto

Ci ha conquistato invece pienamente la pateticissima, fremente Margherita di Marta Mari, chiamata anche a dar vita poi ad una inebriante e sensuale Elena. Porta in dote al primo personaggio una condotta vocale incisiva e fluida, notevole per lucentezza di suono e morbidezza di timbro, per il pieno e consapevole controllo dei fiati. 

Dai gravi agli acuti, senza alcun problema; magari meglio evitare però l'attitudine al declamato in taluni momenti. Molto brava, comunque, nei cambiamenti di colore e nel difficile controllo delle dinamiche in “L'altra notte...”, vero banco di prova per un soprano che si rispetti. 
Marta la vediamo affidata a Eleonora Filipponi; Wagner a Paolo Lardizzone; Pantalis a Shay Bloch; Nereo a Vincenzo Tremante.

Visto il 07-10-2022