Recanati (MC), teatro Persiani, “Memorie dal sottosuolo” da Fedor Dostoevskij
UN INVERNO SENZA SPERANZA
“Memorie dal sottosuolo”, pubblicato nel 1865, è la storia della fallita redenzione di una prostituta e la tormentosa disamina dell'inconscio e dell'insufficienza dell'intelletto a conoscere e giustificare se stessi e gli altri (“ogni forma di coscienza è una malattia”), in anticipo rispetto a Joyce e Kafka. Scritto in prima persona, il romanzo è diviso in due parti: la prima è “il sottosuolo”, in cui il protagonista, rivolgendosi a un ipotetico interlocutore, parla di se stesso, dell'educazione ricevuta, della formazione del proprio carattere, delle proprie qualità e difetti da lui definiti “il sottosuolo”, della personalità nascosta, che affiora solo a seguito di una dettagliata analisi. Nella seconda, “a proposito della neve fradicia” il narratore ripercorre alcuni episodi della propria vita, dove con evidenza gli si è manifestato “il sottosuolo”: una sera segue, non invitato e non desiderato, in preda a solitudine e malinconia, alcuni compagni di studi a una cena, ma questi lo umiliano e lo oltraggiano e allora lui si vendica su Lisa, una prostituta incontrata in una casa di tolleranza, facendole un quadro del destino degradante e spaventoso che la attende, fra debiti, malattie, maltrattamenti (“la giovinezza è un soffio”). Dopo qualche giorno Lisa gli fa visita, vagheggiando una vita pura. Lui la accoglie con volgarità e violenza, ma Lisa rimane, convinta della profonda sofferenza dell'uomo che la maltratta. Egli la scaccia, mettendole in mano un biglietto da cinque rubli (“l'amore è dominare, torturare moralmente, esercitare una tirannia, una lotta che comincia con l'odio e finisce con la schiavitù morale dell'essere amato”). Ella fugge; troppo tardi il protagonista scopre sopra il tavolo i soldi, testimonianza della sua meschinità e della profonda dignità di Lisa. Il narratore resta “qui, in questo sudicio sottosuolo, come un topo offeso dal mondo che lo circonda, un topo in quella palude di fango e di escrementi fetidi che sono i propri dubbi, le paure e gli sputi di quelli che sanno come prendere la vita”.
Per esigenze drammaturgiche Gabriele Lavia, autore della riduzione teatrale del romanzo, sceglie di dare maggiore spazio alla seconda parte ed inserisce un personaggio, il servitore della casa del protagonista, che parla esclusivamente recitando salmi. L'eccezionale complessità del romanzo risulta poco evidente dal punto di vista contenutistico ma non dal punto di vista formale. La scena molto bella, monumentale e decadente, proiettata verso l'alto, è di Carmelo Giammello e presenta a sinistra una catasta di scaffali e libri con qualche giocattolo a ricordo dell'infanzia innocente, a destra un mucchio di specchi avanti un grande letto e un dipinto con un satiro che ghermisce una ninfa. Al centro il vuoto, un nero assorbente che stride a confronto con il chiarore della neve. Dominante infatti sul pavimento è quella neve che spesso ricorre nel testo, la neve che bagna, infradicia tutto, come fosse fango: un inverno senza speranza (“l'uomo nasce dal fango, finisce nel fango, si rotola nel fango: anch'io sono infelice come te e mi rotolo nel fango per l'angoscia... l'amore è la chiave di tutto per salvarsi dal dolore e dal fango del mondo”). I costumi di Andrea Viotti situano l'azione nel secondo Ottocento e danno un ulteriore contributo alla messa in scena, come la cenciosa vestaglia che il protagonista indossa in casa, o i guanti bucati e le calze slabbrate del servo, metafore di miseria morale. Non marginale il contributo delle perfette luci (nel manifesto non è indicato il disegnatore) e delle musiche da incubo di Andrea Nicolini.
Alice Torriani è un'acerba Lisa, onesta e pura; Pietro Biondi il salmodiante e caricaturale Apollon, ombra del protagonista, che quest'ultimo tratta con durezza in quanto testimone della sua caduta morale. Gabriele Lavia è convincente ed emozionante nel delineare i tratti del protagonista, consapevole di essere un “uomo ridicolo”, che si trasforma nello scarafaggio che sente di essere nell'anima. Interloquisce con il pubblico per rendere il senso di quella “confessione in prima persona” che è il romanzo ma è eccessivamente irruento ed ammiccante. Lo spettacolo si appesantisce nel lunghissimo finale, dove l'intento moraleggiante annoia e l'attore rasenta l'esibizionismo per eccesso di virtuosismo: prevale l'autoreferenzialità, invece lontana dalla scrittura di Dostoevskij.
Spettacolo fuori abbonamento, pubblico giovane eccessivamente divertito e sorridente.
Visto a Recanati (MC), teatro Persiani, il 05 aprile 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Alfieri
di Asti
(AT)