Prosa
MISERABILI - IO E MARGARET THATCHER

Marco Paolini ci ha abituato,…

Marco Paolini ci ha abituato,…
Marco Paolini ci ha abituato, fin dagli esordi come autore, a un teatro di denuncia sociale, potente e arrabbiato, ironico e malinconico; e anche il suo ultimo lavoro, “ Miserabili - Io e Margaret Thatcher”, ha la forza dirompente delle idee del contestatore Paolini, che non si rassegna davanti alla sconfortante deriva del mondo, e della sua/nostra Italia. Paolini avverte il pubblico che il suo spettacolo non è un punto di arrivo; non è il risultato finale di un lungo ragionamento; è un ‘carrello della spesa’ in cui getta tutte le idee e le riflessioni sugli ultimi anni di vita italiana e mondiale e ce le presenta in questo ‘work in progress’ itinerante. Sempre coadiuvato dai bravissimi Mercanti di Liquore - che lo accompagnano durante tutto lo spettacolo con le loro ballate di denuncia, parte integrante del testo teatrale - l’autore-attore bellunese individua nel 1979 l’anno della svolta di un epoca, della fine della modernità, dell’inizio della crisi. In quell’anno ci fu la salita al potere di due capi di stato di nazioni lontane, ma potenti - Margaret Thatcher e l’ayatollah Khomeyni – e Paolini, spiazzando il pubblico come solo lui è capace di fare, individua nella prima la causa di ogni male presente e futuro. La Thatcher, più di Khomeyni, di Regan, di Saddam e di Bush, è stata la creatrice del liberismo sfrenato, senza regole né umanità; della conversione della società in un insieme di individui indipendenti e disinteressati l’uno dell’altro; della fine dell’epoca moderna caratterizzata da uno stato sociale, dalla classe operaia, dalle lotte sindacali, dai principi che avevano mosso fino ad allora i lavoratori e le loro famiglie. Paolini vede nella lady di ferro l’icona della nascita della post-modernità in cui ancora viviamo, un’epoca dominata dalla New Economy, dalle quotazioni in Borsa, dall’accelerazione, dalla mancanza perenne di tempo e di denaro; un’epoca in cui tutti – i ricchi che non riescono a porre un limite alla propria ambizione sfrenata di guadagno, e i poveri che non riescono più a stare al passo – sono ‘miserabili’. Quello descritto da Paolini è un mondo di miserabili condizionati dalla televisione e dalle banche, dal lavoro sempre più precario e sempre meno umano, dalla smania di acquistare e consumare senza un perché. Per sintetizzare visivamente la fine della ‘belle epòque’ che aveva caratterizzato l’Europa dal Dopoguerra al 1979, Paolini si aggira tra due tavole apparecchiate sulle quali giacciono abbandonati i resti di una cena sontuosa. La grande abbuffata è finita; il convivio dell’umanità attorno alle possibilità offerte dalla ricostruzione si è sciolto; alla tavola di questa ’ultima cena’ profana non resta che accasciarsi su se stessa e crollare. È uno spettacolo che, tra scroscianti applausi a scena aperta, scatena a tratti il riso, a tratti la rabbia del pubblico, ma sempre aiuta a riflettere sul mondo presente, guardando il passato più vicino, vissuto da molti di noi in prima persona. L’unico difetto percepibile che non permette di parlare di ‘capolavoro’ è talvolta una mancanza di compattezza nell’alternarsi di canzoni e storie, monologhi e personaggi, che si succedono in una teoria che sfugge all’immediata comprensione del pubblico. Ma è un ‘work in progress’ e sono sicura che Paolini continuerà a smussarlo e ritoccarlo fino a raggiungere la forma perfetta. Bergamo, Teatro Creberg, 24 gennaio 2007
Visto il
al Comunale (Sala Grande) di Bolzano (BZ)