Andato in scena per la prima volta nel 1999, Misterman di Enda Walsh (non lasciatevi trarre in inganno dal nome, è un uomo) vede in scena Thomas Magill un trentenne che ha una profonda fede in dio tramite la quale misura le persone che incontra e che vive come un adolescente, uscendo giorno esce di casa per comperare i biscotti Ringo alla madre, fare visita alla tomba del padre e conversare con gli abitanti della piccola cittadina irlandese di Inishfree. Thomas racconta degli incontri con le persone con cui si relaziona interpretandole lui stesso in un monologo a due dove è, senza soluzione di continuità, se stesso e l'amico meccanico che ha un calendario con le donne nude in officina, se stesso e la donna matura che lo concupisce mettendogli le mani addosso, se stesso e il figlio della donna anziana che usa il turpiloquio.
Quando non recita questi dialoghi Thomas mette in azione dei registratori tramite i quali riproduce le loro voci registrate a cominciare dalla madre (una riconoscibilissima e splendida anche in audio Daria Deflorian) per finire con una ragazza che, si scoprirà, gli è comparsa sotto le mentite spoglie di un angelo.
Le registrazioni diventano testimonianza anche della sua violenza perchè riproducono le sue reazioni dinanzi le cose che reputa sbagliate siano queste le pin up appese al muro nell'officina dell'amico, che sentiamo mettere violentemente a soqquadro, o il rimprovero al ragazzo che usa il turpiloquio, o la ragazza-angelo che cerca di strappargli il registratore di mano e per questo viene picchiata.
Quel che sfugge, ma forse si tratta solo di un limite di chi scrive, in questo testo e nella drammaturgia scritta nel testo stesso, è il senso profondo dell'operazione.
Se drammaturgicamente i nastri registrati, i vari personaggi tutti interpretati da Thomas, dunque non già dall'attore ma dal personaggio che rifà in scena il verso a tutti quelli che ha incontrato, è stimolante sia per il regista che per l'attore chiamato a una grande prova (nella sua prima messinscena Thomas venne interpretato da Walsh stesso), cotale macchina scenica sembra partorire il topolino della fatidica montagna.
Thomas ci viene infatti descritto inanellando tutti i topoi del caso: è un ragazzone (ha più di trentanni) naïf che ha una passione fanatica per la religione; viene percepito da tutti come lo scemo del villaggio, più o meno innocuo (anche se la violenza contro gli animali dovrebbe indurre subito a conclusioni diverse) che diventa cattivo suo malgrado quando gli altri lo prendono in giro (la ragazza-angelo) o quando si comportano diversamente rispetto i precetti di una religione alla quale dovemmo credere tutti.
Da questo punto di vista il testo non è solamente un ricettacolo di luoghi comuni costruiti su un sociologismo (neo)positivista ma tradisce anche un certo gusto misogino e machista nei dettagli con cui descrive il comportamento dei personaggi che Thomas incontra: madre castrante e padre assente (morto), donne adulte colpevoli di concupire un uomo di trentanni con il cervello di un adolescente, o di prenderlo in giro presentandosi sotto forma di angelo, una sessualità scandalosa alla quale tutti sembrano avvezzi tranne Thomas, una crudeltà del branco che finisce per ritorcersi contro i suoi stessi componenti.
Che una trama così tradizionale venga raccontata con una forma drammaturgica di ricerca rende il testo ancora più ambiguo perchè sembra usare i luoghi comuni diffondendone i (pre)giudizi senza esplicitarli mai, come mera occasione estetizzante, dove il come si dice conta più di quel che si dice.
Ad aumentare l'ambiguità ha contribuito, involontariamente, anche la reazione del pubblico che, alla prima, per motivi oscuri, ride del testo in momenti in cui non c'è niente da ridere come quando Thomas racconta di avere affogato tutti i gattini mentre la madre lo aveva incaricato di lasciarne vivo uno (poi si sentiva solo, e un unico gatto in un paese di cani non ha una vita facile) solo parzialmente giustificato dal fatto che il pubblico era formato, almeno in parte, da amici che erano venuti a vedere l'interprete e, dimenticando che in scena c'è un attore, ridono dell'amico ignorando il personaggio.
Ad Alessandro Roja spetta l'impegnativo compito di interpretare Thomas e per quanto se ne possano apprezzare lo sforzo e l'impegno anche fisico non convincono le indicazioni di regia che gli fanno interpretare i personaggi femminili con una effeminatezza tutte mossette (e, naturalmente, il pubblico in sala ride) o le donne anziane con la parlata biascicata come si usava una volta nel doppiaggio dei western.
Per cui oltre il fastidio per una violenza mimata in scena contro un cane (se ne sentono solo i guaiti) e il dolore per la compassione umana suscitata da Thomas e dalle sue vittime/carnefici, all'uscita della sala rimane ben poco del mondo evocato da un testo scritto nel 1999 e che, forse, non avrebbe dovuto proprio approdare al terzo millennio.
Ma, come si diceva prima, si tratta solo di un limite di chi scrive...
Prosa
MISTERMAN
Un testo prevedibile
Visto il
27-03-2012
al
Belli
di Roma
(RM)