Jurij Ferrini, in questa edizione di Misura per misura, prodotta dal Teatro Stabile di Torino, è il Duca di Vienna, il protagonista della pièce shakespeariana, che per cercare di comprendere la verità naturale dell’agire umano, abbandona il comando, si traveste da frate e sotto falso nome si nasconde nei bassifondi, lasciando al suo vicario, il severo Angelo (Matteo Alì), il compito di ripulire la città dalla corruzione e dal vizio. In un crescendo di colpi di scena si giunge ad un inatteso lieto fine, quasi una via d’uscita, che trascende il perdono: solo una responsabilità condivisa, una visione allargata, lucida, pacata e fortemente ispirata del profondo legame tra giustizia e colpa, sembra essere l’alternativa a un meccanismo che, irrimediabilmente, alimenta se stesso.
Misura per misura è una profonda riflessione sulla condizione umana e sull’esercizio (o abuso) del potere, squisitamente bilanciata fra dramma e commedia (ma questo allestimento predilige chiaramente l’utilizzo del registro comico).
Le tematiche trattate da Shakespeare in questo testo sono universali e il regista colloca i personaggi in una anonima periferia urbana fuori dal tempo, ma ricca di riferimenti contemporanei (rintracciabili soprattutto nelle scenografia di Carlo De Marino e nei costumi di Alessio Rosati).
Raffaele Musella, nei panni di Claudio, un giovane condannato a morte per essersi abbandonato ai propri desideri, ingravidando la donna amata, opta per una recitazione che, per l’eccessivo vigore, non sempre coglie nel segno. Analogamente, il fervore con cui Matteo Alì dà corpo e voce all’ambiguo Angelo, non sembra poter essere ricondotto alla responsabilità derivata dal potere o alla smania di desiderio nei confronti della pura, quanto determinata, Isabella (Rebecca Rossetti), novizia e sorella di Claudio, costretta a subire le bramose attenzioni del Vicario, nel tentativo di ottenere la grazia per il fratello.
Il perfetto equilibrio tra differenti livelli linguistici si realizza nelle memorabili scene che vedono coinvolti i personaggi interpretati da Gennaro di Colandrea, Lorenzo Bartoli e Francesco Gargiulo, contrapposte alle intime, quanto universali, riflessioni consegnate alle voci di Ferrini, Alì e Rossetti.
Altrettanto memorabili e comiche sono le scene che vedono insieme sul palco Ferrini e Angelo Tronca, nei panni di Lucio.
Momenti di acuta riflessione uniti a istanze comiche di alto livello sono offerte da Michele Schiano di Cola, nel ruolo del ruffiano Pompeo.
Il finale consegna al pubblico una verità molto “terrena”, ovvero che i pensieri (e quindi i sogni) non sono peccati (da condannare). La regia di Ferrini mantiene con coerenza una dimensione metateateatrale, fino alla fine dello spettacolo, quando il regista presenta al pubblico ciascun attore riassumendo il personaggio interpretato sul palcoscenico.