I sogni se li può permettere anche chi non ha soldi, perché costano solo se li si vuole realizzare. L’immaginazione distingue la persona comune dal genio, che si dà all’alcool o all’hashish o all’assenzio per raggiungere una dimensione astratta, necessaria all’arte, corrosiva ma più sopportabile della morte. Amedeo Modigliani ha improntato la vita al sogno e il prezzo pagato è stato la vita stessa, che lo ha abbandonato a 35 anni.
Il classico tulle teatrale che ha separato l’interno della casa/atelier dall’esterno (scene Gianluca Amodio) era formato da sottili strisce che potevano essere aperte come un tendaggio, permettendo ai personaggi di trapassare le immagini proiettate di Parigi o dei quadri (video Claudio Garofalo). Evocati dalle note di Sakamoto, i dipinti, dall’aspetto graffiato, consumato dalla bulimia estetica, hanno rappresentato l’ossessione del pittore/scultore che poneva la propria individualità a perenne confronto con la personalità degli amici/antagonisti, nel certame intellettivo alla conquista della libertà.
Lo spirito libero - non futurista, non cubista ma “modiglianista” - è coinciso con l’amore, nella ricerca del confronto con donne diverse delle quali figurare l’anima nelle tele, e che hanno tentato di farlo loro senza riuscirvi, perché Amedeo era posseduto solo dall’arte: l’esuberante Kiki de Montparnasse (Giulia Carpaneto), l’elegante Anna Achmatova (Vera Dragone), l’ombrosa Beatrice Hastings (Romina Mondello). Infine Jeanne Hebuterne (Claudia Potenza) che implorerà l’amato di “non morire, perché mi fermerò al primo sogno, dopo non ne voglio fare altri” e che così realmente fece. Quando il chiarore (luci Claudio Cianfoni) emanato dalla grande finestra sul fondo della stanza si è tinto di blu, assieme a Modigliani è spirato il suo sogno. Ed “è triste guardare un sogno che muore”.
Testo e regia di Angelo Longoni hanno fatto delle chimere l’ammaliante filo conduttore e della levatura espressiva il suo dipanarsi, formando un insieme compenetrante, rispondente all’immaginario collettivo che identifica i bohémien come esseri romantici e tormentati, nonché fedele alla verità storica. Il ritmo dello spettacolo si è mosso sinuoso come le linee curve e ininterrotte che contornano i nudi di Modì. Per esprimerne l’universo interiore preda di esaltazioni e paure, Marco Bocci ha utilizzato sapientemente il linguaggio del corpo, magistrale nelle seducenti camminate funamboliche in equilibrio sulla linea onirica che divide vita e arte.