Non c'è dubbio, a Paolo Rossi piace molto Molière. Ed ancor più che nella ricerca che fa sulla vita del grande commediografo francese, paragonata alla sua stessa vita, fra episodi e similitudini che apertamente riferisce, il motivo di tanta passione sembra trovarsi piuttosto in un'aspirazione intima, quella dell'attore/persona Paolo Rossi a sentire e vivere Molière in ogni suo aspetto, a partire da quello privato che lo affascina per il possibile approdo di una esistenza in cui professione, ambiente, persona e famiglia coincidono in un unicum nel quale non si distingue più un pezzo dall'altro, non a caso descritto con la metafora del calice di cristallo pieno di vino e caduto in terra, per spiegare quanto quel mondo fatto di assi di legno e di “dietro le quinte”, renda ogni cosa indistinguibile, ogni elemento inseparabile dall'altro.
Ed in quella Compagnia che egli stesso definisce <una famiglia che oggi chiamerebbero “allargata”>, una sorta di ambiente consolatorio con cui affrontare vizi e virtù, il capocomico Molière/Rossi si tuffa con una sicurezza ed un piacere visibili, tanto che la prima impressione è quella di uno strano, o quantomeno inatteso equilibrio: si parte dalle possibilità offerte da un insieme tanto estroso come è la somma di L'Impromptu de Versailles (la commedia in un atto creata a Versailles che già in sé è metateatro), le commedie Il tartufo, Il misantropo e Il malato immaginario (sebbene posteriori a La recita di Versailles), gli spunti di attualità e politica contemponreanea, l'immersione della recitazione in una dichiarata ispirazione all'improvvisazione, ed una personalità di per sé già tracimante come quella di Rossi; si pensa a come potrà rispondere alla sfida di una facile deriva debordante, e ci si trova invece di fronte ad una conduzione paradossalmente equilibrata, e ad un caos perfino troppo ordinato.
Il Molière riscritto dalle mani di Rossi, Massini e Solari e prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano, prende vita e viene costantemente seguito dalle musiche eseguite dal vivo dai Virtuosi del Carso, a maggior gloria della versatile ambientazione nelle Arti, svolgendosi poi con ampi e ben sfruttati margini di discrezionalità nel racconto del soggiorno di Molière a Versailles e dei suoi rapporti con il Re Sole, intercettando di continuo i temi (cari ad entrambi, appunto) della natura e del mistero del teatro e della recitazione. Una costruzione in cui “si improvviserà molto, qua e là si reciterà pure”, una scala con molti diesis ma con qualche bequadro inatteso, dove campeggiano personaggi come Papa Orgone II detto il Che, misti alle canzoni originali di Gianmaria Testa, ed una brava Compagnia disvelata, formata da attori che il capocomico Rossi/Molière lascia fluidamente approdare alle sintesi delle loro identificazioni.