Si sta compiendo un viaggio, per accendere la memoria sui disagi che hanno costituito la storia dei trattamenti clinici delle malattie mentali, attraversando le ex strutture manicomiali italiane: nato nell'ex ospedale psichiatrico Giuseppe Antonini, più noto come il manicomio di Mombello di Limbiate (provincia di Monza e Brianza), lo spettacolo Mombello. Voci da dentro il manicomio, prodotto dall'Associazione Culturale Teatro Periferico per la regia di Paola Manfredi e costruito sul testo redatto da Loredana Troschel e Dario Villa, è giunto ad Aversa (CE), ospitato da quello che fu il primo Ospedale Psichiatrico del Regno di Italia, creato da Gioacchino Murat nel 1813. Un lavoro che ha fatto tesoro della raccolta di testimonianze vive, appartenenti sia al personale che ha lavorato nelle strutture, sia ai familiari dei malati, sia ai malati stessi, per incrociare questi dati esperienziali poi con le memorie dei cittadini, aggiungendo anche l'obiettivo del dialogo con le comunità visitate durante il tour.
E' necessario distinguere fra i due valori, ovvero quello dell'oggetto teatrale, e l'altro, più rilevante, del significato sociale, sottoponendo l'occhio dell'osservatore quindi ad un doppio esame: se da un lato infatti ci si pone di fronte alla resa in scena del soggetto prescelto, dall'altro si percepisce subito, ancor prima che abbia inizio, che l'incontro, o meglio l'impatto più interessante sarà piuttosto un altro, soprattutto per un pubblico culturalmente e storicamente così inquadrato, ovvero la sfida di immergersi in una realtà che fra le sue caratteristiche, da sempre nella nostra società e fino almeno alle prime intenzioni della legge Basaglia, è stata sempre considerata come uno dei massimi tabù da nascondere, occultare e tenere dietro le sbarre, una realtà che anziché mantenere in vista ed a cui guardare, per pensare che faccia parte delle cose della vita, anche della nostra, andava negata e segregata.
Per questa immersione di così alto impatto emotivo atteso, viene scelto un metodo d'urto: dieci minuti iniziali di buio assoluto (almeno nelle intenzioni, come vedremo) che introducono ad un ambiente che dapprima con poche parole, poi con gesta, urla ed atteggiamenti di vario disagio psichico, rappresentano un ampio spettro dei fremiti della mente che per lungo tratto rimangono come degli spot, spesso dei tableaux, con alcune prove di elevata perizia degli attori (Giorgio Branca, Elisa Canfora, Antonello Cassinotti, Alessandro Luraghi, Laura Montanari, Raffaella Natali, Loredana Troschel, Lilli Valcepina, Dario Villa), che suggeriscono il notevole lavoro da essi sostenuto, e che raffigurano la quotidianità dell'O.P. e dei suoi aspetti anche più difficili da sostenere, fino ai frequenti sistemi contenitivi e repressivi adottati negli 88 manicomi italiani su centinaia di migliaia di persone, se non anche su qualche milione, a volte anche nel tempo di intere vite, quelle che sono state definite come ergastoli bianchi. Forse oggi però, dopo decenni in cui la coscienza di tali condizioni disumane si è fatta via via crescente, uno sguardo anche più importante sarebbe potuto essere l'accento sugli aspetti per i quali la follia è stata ed è ancora un tabù, con la conseguente ed ancora attuale invisibilità.
Rispetto alla sua natura di rappresentazione da costruirsi in situ, prevalentemente nei corridoi delle ex strutture, si comprende come essa debba risultare diversa in ogni ambiente, e questa specificità, nel caso di Aversa, ha avuto un doppio effetto: date le condizioni climatiche particolarmente avverse, un forte temporale ha trasformato l'ambiente inverandolo con autenticità quasi cinematografica, ma disperdendone tuttavia una certa necessità di silenzio e concentrazione che avrebbe prodotto nel pubblico, probabilmente, un impatto emotivo più vicino a quello delle intenzioni della regia. A questo va aggiunta la considerazione della totale rinuncia alla narrazione, se non negli ultimi istanti di un finale che inietta alcune gocce di storia e partecipazione agli eventi, un elemento che se presente in maniera più ampia avrebbe probabilmente aiutato ad avvicinare maggiormente ad una idea che non si mai discostata altrimenti dall'originale confezione di panorama su paesaggi interiori, tragici quanto necessari da ricordare.