Prosa
MONNEZZA

I panni si lavano in famiglia, la MONNEZZA no

I panni  si lavano in famiglia, la MONNEZZA no

“Vedi Napoli e poi muori” così disse Ghoete, visitando Napoli. Oggi come oggi, questa affermazione, che voleva essere un grandissimo complimento per la nostra città, acquista un significato ambiguo che ci lascia con l’amaro in bocca.   I giovani protagonisti di “Monnezza”, Antonietta e Gerardo Cinquestelle , sembrano ritrovarvisi, nel corso della vicenda, in questa affermazione, in tutte le sue accezioni, reali e acquisite, positive e negative. La scena si apre sul 2005: Un fumo nero che rende l’aria palpabilmente pesante, invade il palcoscenico, intossica i personaggi. Scende un quarta parete semitrasparente, riuscito escamotage registico, che permette di spaziare nelle epoche che scandiscono la vicenda. Siamo nel 1993.Tutto si fa colorato. Con l’emozione e lo scetticismo dei primi uomini che atterrarono sulla luna, vediamo i nostri protagonisti, interpretati da Gennaro Silvestro e Federica Altamura, sbarcare in una zona “in espansione” : la futura Pianura. Sembra che abbiano trovato quello che promette di essere un futuro paradiso  per coppie giovani con poche possibilità e il desiderio di crearsi una famiglia. Questo sogno è possibile grazie a Don Michele, “l’imprenditore” che sta costruendo la comunità di cui faranno parte. Si aggiungerà a loro Nunziatina( Rosaria De Cicco), sorella del “vigile-piccione” di Don Michele (Ivan Fiorenza), reduce da un triste passato e per questo commossa, nella sua esuberanza di popolana, al pensiero di possedere una casa propria. A poco a poco, la piccola società del Parco Gloria si espanderà, abusivamente, con l’arrivo di nuovi residenti, di cui seguiremo le avventure quotidiane, tra comicità, paradossi e amara ironia. Vedremo così Ernesto Lama nei panni di Tammaro Circostanza, un addetto ai controlli sanitari facilmente influenzabile . La vita scorre serena , fino a  quando si presenta il “problema monnezza” che pare risolversi grazie ad uno scambio di favori e intrallazzi politico-economici, da cui non è esclusa la chiesa.  Col passare degli anni però la situazione degenera. Pianura inizia a prendere le sembianze di un inferno, i cui abitanti sono vittime di un gioco più grande di loro tra organi statali e associazioni illegali, gestito da Pasquale Izzo, ancora un Lama questa volta in vesti drammatiche.  Seguiamo così l’accavallarsi di avvenimenti che scoprono le carte in tavola e mettono a repentaglio l’equilibrio necessario a coprire i misfatti che hanno rovinato pianura e, pian piano, distruggono le vite dei singoli. La realtà pubblica prende il sopravvento sulle vicende private; ma tutto è intrecciato: la monnezza, se da un lato è stata la fortuna di pochi, dall’altro si è rivelata la rovina di molti, destino dei quali è emblematicamente  rappresentato da quello di Antonietta e Gerardo.

Si deve a Carmine Borrino, autore di questo adattamento drammaturgico, il merito di una scrittura che si muove con agilità tra commedia e dramma, con un tocco grottesco nel dipingere i suoi personaggi, i quali acquisiscono un ulteriore spessore grazie alle capacità degli attori. Il testo, forse, andrebbe leggermente limato e asciugato, emendato dal superfluo che lo rende ridondante e non permette l’impatto voluto sul pubblico. L’attenzione cala, allentando il legame del pubblico con la vicenda narrata e con il problema denunciato. Degno di nota è il lavoro registico, coadiuvato dall’apparato scenografico: il team, formato da Peppe Miale e Tonino di Ronza, stupisce lo spettatore nella direzione  della compagnia e nella gestione dei numerosi salti spazio-temporali, caratterizzanti la storia. Tutto ha un ritmo danzabile ,soprattutto le scene di gruppo, e, in effetti, i personaggi eseguono, in alcune scene, dei veri e propri movimenti di danza, dimostrando un grande affiatamento. La compagnia, composta da otto performer, comprende attori di grande esperienza e ad altri, che nonostante la giovane età, calcano a testa alta la scena;  ognuno interpreta più personaggi, anche molto diversi tra loro riuscendo a dargli un adeguato spessore,. Una squadra proprio niente male, che ha scelto di portare sulla scena un argomento quotidiano ma, ancora, scottante e che è riuscita a non cadere in pesanti e superficiali clichè; d'altronde questo era l’obiettivo dello spettacolo, come ha detto il regista in conferenza: cercare un modo inedito di scuotere il pubblico e scrollargli di dosso il torpore dell’abitudine. Il velo nero, non è più solo escamotage scenografico, ma diventa metafora dalla cateratta che annebbia le nostre coscienze.

Visto il 27-03-2013
al Galleria Toledo di Napoli (NA)