Macerata, teatro Lauro Rossi, “Morso di luna nuova” di Erri De Luca
IL RESPIRO DEL RACCONTO
Morso di luna nuova è ambientato a Napoli in un rifugio antiaereo nel settembre del 1943, prima delle quattro epiche giornate, ed ha il respiro di un cunto: Erri De Luca intesse con raffinatezza quasi magica una storia luminosa, a contrasto con l'ambiente asfittico e claustrofobico in cui è ambientata, una storia che narra della necessità di essere coraggiosi e soprattutto di reagire.
Lo spazio scenico di Bruno Buonincontri è vuoto, solo sedie e pannelli incernierati che creano angoli e delimitato spazi angusti, come nel bunker sotterraneo. Non c'è un vero protagonista, ma gli otto personaggi hanno un rilievo paritetico. All'inizio sono tutti in fila orizzontale, in piedi, oscillano leggermente prendendo luce per un secondo prima di tornare nel buio e poi ancora un attimo di luce. Si sentono rumori, il mare, i campanelli delle biciclette, le voci dei vicoli. Quindi emergono le singole individualità, senza parole, solo gesti e atteggiamenti a rivelare qualcosa dei caratteri e delle professioni. Ma la sirena antiaerea cambia tutto, o meglio blocca ogni azione e tutti si precipitano nel rifugio sotterraneo fra grida scomposte.
Biagio, il ragazzo balbuziente, arriva sempre per primo perchè ha un canarino in gabbia che lo avverte prima che suoni la sirena (e quando il canarino canta lui non balbetta). Nel rumore delle bombe che umiliano la città una fragile illusione è ripararsi sotto una sedia o solo con la testa fra le mani, sentendosi sicuri senza esserlo. Napoli è “piena di ricoveri, una città ricoverata”, si sottolinea con la consueta ironia partenopea. Si intrecciano le storie dei presenti: il generale fascista collocato a riposo ma integerrimo nel difendere la patria e stimolare la fiducia dei cittadini, il portiere del palazzo con la moglie e la figlia, Armando, il giovane squattrinato perchè il ricco padre ha perso tutto a carte.
I pannelli consentono di creare angoli separati, isolati, spazi dove è ancor più evidente l'attesa in un silenzio gravato dall'immobilità e dal buio (si prega affinchè non si spegna la fioca lampadina).
Struggente il racconto di Elvira, la figlia del portiere, che ricorda il bagno a mare a Mergellina durante un attacco da parte dei tedeschi: sott'acqua non si sentono le bombe cadere, “avrei voluto tirar su la testa dall'acqua e vedere che la guerra è finita”, acqua rigenerante e salvifica. Come ne “Il giorno prima della felicità”, anche nel “Morso di luna nuova” il mare consente di ottenere una assoluzione impossibile sulla terra.
Ancora Elvira porta un momento di poesia: lei è miope, Armando le chiede di togliersi gli occhiali per vederla senza e lei racconta che a volte se li toglie la notte per guardare il cielo stellato e così, nella miopia, vedere le stelle non come punti ma come sfumature di luce e il cielo che sembra così meno nero.
Cessato l'allarme si rientra nelle proprie case, nelle proprie vite, nelle proprie solitudini e difficoltà: la borsa nera, i fuggiti dalla città verso Roma, Genova o la provincia. Poi un nuovo allarme che manda in crisi il generale, che insiste per imporre un ottimismo illusorio e quindi dannoso, mentre i più giovani leggono giustamente la realtà per quello che è, passando per agitatori sociali.
Poi l'atmosfera cambia, il pescivendolo e il falegname inscenano un lungo siparietto comico per far passare il tempo nel rifugio, un momento di profonda comicità, lieve e raffinata, giocata sui doppi sensi delle parole e sulla retorica delle canzoni patriottiche. I giorni incalzano, viene emanato dai tedeschi un bando per il rastrellamento, i napoletani iniziano una eroica resistenza per scacciare i tedeschi dalla città prima che arrivino gli americani, per evitare combattimenti tra due eserciti stranieri in città.
In mezzo la storia dell'ebreo, non circonciso perchè il padre era fuggito da Odessa dove uccidevano tutti i circoncisi e per questo non aveva fatto circoncidere il figlio: questo lo salva nel momento in cui lo catturano i tedeschi. E il generale che, crollato il fascismo e con esso il suo sogno, si mette a disposizione del popolo. Ma le quattro giornate impongono morti, lutto e uccisioni: e gli uomini non sono più gli stessi.
Erri De Luca racconta una storia lucente e raffinatissima; con il suo consueto modo di scrivere, obbedisce al racconto, lo asseconda, mai lo urta, mai lo gonfia, mai lo provoca. Si percepisce che la storia è più grande e lui ne raccoglie solo un frammento. La sua voce napoletana risuona nel buio, sotto le bombe, tra i fantasmi. Con levità magica De Luca rievoca una città divisa e un momento epocale della storia raccontando vite, anime, storie.
Ottima la regia di Giancarlo Sepe, coinvolto da ragioni personali e familiari, preciso nel muovere gli attori, essenziale nell'evocare un altrove parte fondante delle storie. Perfetta la scena, come i costumi sempre di Bruno Buonincontri. Fondamentali le luci disegnate in modo magistrale da Rocco Giordano, capaci di suggerire luoghi e sensazioni. Parimenti fondamentali le musiche curate da Harmonia team con la collaborazione di Davide Mastrogiovanni, anch'esse capaci di suggerire luoghi e sensazioni (struggenti gli interventi di violoncello). Perfetti gli attori, da citare tutti, in ordine alfabetico come nel manifesto: Giovanni Esposito, Anna Ferruzzo, Antonio Marfella, Luna Romani, Giampiero Schiano, Antonio Spadaro, Simone Spirito, Pino Tufillaro.
Insomma uno spettacolo compatto ed efficacissimo, intenso, emozionante, che parla di dignità, di riscatto, di rivendicazioni, dell'orgoglio dei cittadini di riprendere in mano la propria vita e, con essa, il proprio destino. E il pubblico tributa il meritato, caloroso successo.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Politeama
di Napoli
(NA)