Morte di un commesso viaggiatore è il testo più conosciuto di Arthur Miller. Quando il drammaturgo newyorkese lo scrive, nel 1949, gli Stati Uniti sono il luogo delle mille opportunità e, allo stesso tempo, rappresentano la declinazione più brutale del “sogno americano”.
Nel testo convivono aspetti caratterizzanti della società dell’American-way-of-life, ancora in grado di parlare alle generazioni attuali, perfino in tempo di Covid: la crisi della famiglia, la percezione del fallimento, le aspettative deluse e le spietate dinamiche del mondo del lavoro.
Un anti-eroe tragico
Jurij Ferrini si cala per la prima volta – e con disincantata irruenza – nei panni di uno dei personaggi più complessi della drammaturgia del Novecento: il commesso viaggiatore Willy Loman, un anti-eroe tragico e logorroico, che arriva a perdere il senso della realtà, dopo “essersi fatto spremere come un limone per tutta la vita”.
Il protagonista, persa la verve da venditore, è un ingranaggio improduttivo, da relegare ai margini della società, come emerge palesemente dall’ultimo colloquio con il suo principale, Howard (Vittorio Camarota).
Nella testa di Willy coesistono mondi diversi, passato e presente si sovrappongono, così come le aspettative su Biff (Matteo Alì), il figlio prediletto, sul quale Willy ripone tutte le proprie aspettative, ma destinato a fallire, e Happy (Paolo Li Volsi), il secondogenito, mai all’altezza delle ambizioni paterne. Loman è il simbolo di tanti piccoli uomini che anelano un successo facile e veloce, allevando i figli secondo il culto dell’apparenza, salvo infine trasformarli in falliti. Resta, invece, costante l’invidia per la realizzazione professionale del suo unico amico, Charley (Lorenzo Bartoli) e di suo figlio Bernard (Federico Palumeri).
Una critica spietata al neo-liberismo
Il calvario di Willy Loman, della moglie Linda (Orietta Notari) e dei loro figli non si riduce a una vicenda privata. Prigioniero dei ricordi del suo passato, che cominciano a confondersi con un presente fatto di traguardi sospirati o raggiunti con fatica, il protagonista è destinato a compiere un gesto estremo dalla forte valenza critica nei confronti delle fragilità del sistema economico neo-liberista e della società del benessere.
La scenografia di Jacopo Valsania fa riferimento, in particolare negli interni, alla provincia americana (e alla martellante pubblicità) dei favolosi anni Cinquanta.
Al funerale di Willy, il dolore di Linda (che si lascia andare a un eccessivo scatto di nervi, ndr) nel giorno in cui viene estinto il mutuo della casa, sembra esaltare la mediocrità della classe media americana, nel dopoguerra come oggi, in tempo di pandemia.