Si può ridere della morte? A quanto pare si, si può. Provare per credere.
Per tutti gli scettici, che nutrono ancora dubbi a riguardo, si consiglia caldamente la visione di “Morti dal ridere”, una commedia in due atti, esilarante e dissacrante al punto giusto - ma non per questo frivola o banale - sull’annoso tema del trapasso a miglior vita. Del resto, suscitare l’ilarità del pubblico su un tema così, spesso coronamento delle più tragiche e dolorose storie, non è compito facile, soprattutto senza scadere in una facile comicità condita da battute di poco conto.
Sofisticato è invece qui l’intreccio scelto: una storia d’amore sui generis, quella tra Riccardo e la misteriosa dama fasciata in un abito nero - scollato in modo inusuale per un cimitero - che ha come sfondo le vicende di altri bizzarri personaggi, tutti con una ragione diversa che li porta a incontrarsi dinnanzi ai loculi del cimitero di una grande metropoli. Una trama densa e articolata, che mischia il serio e il faceto con grande naturalezza, virando con una certa scioltezza dal registro comico al giallo e alimentando quell’alone di mistero che verrà svelato solo alla fine del secondo tempo.
Si ride e anche molto, assistendo alla messa in scena di quest’opera, che porta la firma dei due intrepreti, Gloria Vigorita e Sergio Viglianese. Ai due attori va il merito di tenere alta l’attenzione degli spettatori, con un’ironia anche ricercata in alcuni punti, che prende a pretesto argomenti poco utilizzati nei monologhi umoristici a cui una certa televisione ci ha ormai abituati. Non mancano, tuttavia, momenti più intensi, ad alto contenuto drammatico: l’apparizione, in apertura e chiusura d’opera, della Triste Mietritrice, elegante e raffinata come un’eroina da opera lirica, personificata dalla stessa Vigorita, una moderna Eleonora Duse nel resto della pièce (almeno fino a quando non indossa i panni di una divertentissima, quanto tradizionale, calabrisella migrata al Nord con il fratello, antiquato e un po’ codardo). Un plauso va anche a Viglianese che, dai più noti cabaret del piccolo schermo (il killer sentimentale, un vero siciliano da clichè, fa davvero morire dal ridere), approda sul palco teatrale con garbata ironia, senza lesinare in battutine sagaci e punzecchiature irriverenti all’indirizzo di alcuni noti personaggi della politica del nostro Paese, come è proprio d’altronde della miglior satira di tradizione italiana.