Violenza, nudo, rumori insopportabili, suoni distorti, retorica: sono questi gli ingredienti che troviamo nello spettacolo di Rodrigo Garcìa “Muerte y reencarnatiòn en un cowboy”. Uno spettacolo perfettamente spaccato in due come sottolinea, puntualmente, quella congiunzione “y” al centro dei tue termini morte e reincarnazione. E, in effetti, siamo proprio di fronte a due universi, due mondi che si contrappongono e si attraggono, due dimensioni perfettamente discordanti eppure terribilmente simili per molti aspetti. E’ una scena aperta quella che accoglie gli spettatori, disseminata di oggetti e materiale scenico, tre chitarre elettriche, microfoni, un toro meccanico, una teca e pochi altri oggetti ma ciò che attira e forse turba non poco lo spettatore più curioso è quell’enorme amplificatore Marshall che arreda un’intera quinta lasciando presagire, probabilmente, l’utilizzo che se ne farà di li a poco.
In scena due performers fuori controllo, quasi sempre nudi, ingaggiano una sorta di lotta-danza al ritmo frenetico e assordante di due chitarre elettriche sulle quali si lanciano calpestando le corde e che scagliano, letteralmente, contro il pavimento creando distorsioni quasi insopportabili da ascoltare (non poche, infatti, le defezioni tra il pubblico che, infastidito, abbandona la sala appena all’inizio).
I due attori danzano, lottano, giocano e se la ridono provocandosi a vicenda, cavalcano il toro al centro della scena e interagiscono con dei pulcini, terribilmente terrorizzati. Ed è qui che abbiamo uno degli aspetti forse più scontati e tipici del teatro di Garcìa il quale ha già abituato il suo pubblico a questo genere di provocazioni. Argentino di nascita ma spagnolo da circa un ventennio, Rodrigo Garcìa ha letteralmente messo sottosopra i festivals internazionali con i suoi spettacoli. Un teatro violento, fisico, a tratti crudele, un teatro politico e sociale che non denuncia tanto una scelta estetica piuttosto una ferma volontà di dire la sua, un deciso rifiuto verso tutto ciò che considera ingiusto. Ma tornando alle provocazioni, sul palco non potevano certo mancare degli animali indifesi e impauriti, decine di pulcini sbatacchiati prima in uno scatolone e poi messi in una teca insieme ad un gatto che, per la verità, più che banchettare con i pennuti, pregustava una siesta, sbadigliando sonnacchioso); una pura e semplice provocazione del regista, incubo di tutti gli animalisti, perché in realtà nessuno degli animali in scena ha corso pericoli, le due teche, infatti, erano concentriche, impedendo agli animali di entrare in contatto.
Ad inframmezzare le due sezioni della performance il siparietto giocoso e delirante dei due performers con un’attrice muta, vestita da geisha, scena a cui, peraltro, lo spettatore assiste indirettamente, filtrata dal video proiettato sullo schermo gigante.
Da questo momento in poi lo spettacolo cambia registro e toni e i due performers rabbiosi si trasformano in giovanotti borghesi che, vestiti da cowboys, sorseggiano birra e dialogano su tematiche semiserie sfociando quasi, volutamente, nel patetico.
Il risultato è uno spettacolo che, per i non amanti del genere, può apparire incomprensibile, scontato e inutilmente provocatorio. Lo spettacolo non è certo uno dei migliori di Rodrigo Garcìa, interminabile e fin troppo ripetitivo nella prima parte, appare decisamente più scorrevole e divertente nella seconda. Tuttavia vale la pena segnalare l’abilità, la resistenza e l’eccezionale complicità dei due attori Juan Lorriente e Juan Navarro che si muovono sulla scena in maniera formidabile.