IL BRACCIO DI CROUCH CHE RACCONTA IL NULLA
Che cos’è un pugno chiuso in un braccio sinistro alzato? Che cosa può raccontare un attore in scena? Che senso può avere oggi il teatro? E soprattutto, perché ancora il teatro per raccontare la storia di un personaggio che si muove sulla scena con un braccio alzato per dirci che non c’è nulla da narrare. Credo che bisogna partire da queste domande retoriche per descrivere lo spettacolo andato in scena al Teatro Nuovo di Napoli, My Arm, interpretato da Matteo Angius e da Emiliano Duncan Barbieri per la regia di Fabrizio Arcuri e scritto da Tim Crouch, attore ed autore di successo della scena teatrale inglese degli ultimi anni.
Partono sul fondo della scena delle immagini di repertorio che mostrano dei bambini. Poi si illumina la platea ed un giovane personaggio trentenne, dalla faccia un po’ impaurita un po’ curiosa, si muove in mezzo al pubblico parlando di se, delle parole che deve usare per raccontare la sua storia e chiede al pubblico degli oggetti per potere andare avanti nello spettacolo. Poi guadagna la scena – caratterizzata da uno spazio vuoto che sul lato sinistro è riempito da una sedia, un tavolino, una telecamera con proiettore – e raccoglie i suoi oggetti in una cassetta. La storia che cerca di raccontare si costruisce nella triangolazione drammaturgica tra il suo monologo attraverso gli oggetti che manipola e che fa riprendere alla telecamere, immagini di repertorio sullo sfondo in cui compare il fratello e la musica della chitarra di un secondo attore. La storia è semplicemente quella di un ragazzino degli anni ’70 che decide all’improvviso di tenere il braccio alzato e che col tempo diventa un fenomeno mediatico da baraccone tra psichiatria rampante, pittura d’avanguardia e conferenze spettacolo.
La conferenza spettacolo del famoso ragazzo col braccio alzato – il pubblico assiste al momento della sovrapposizione tra tempo narrato e tempo della narrazione – fallisce scenicamente perché non riesce veramente a far scrivere la scena a quegli oggetti presi al pubblico e che dovevano sostituire la parola per un racconto impossibile. Quello di Crouch sembra un teatro traumatizzato dalla società dello spettacolo, dal plusvalore del’immagine e dalla rapace capitalizzazione mediatica di un braccio alzato il cui pugno chiuso non ha più senso. Questo spettacolo sembra malamente raccontare la resa politica del teatro, delle sue possibilità sceniche e attoriali, e la diegesi del nulla scenico. Questo vuoto esistenziale che è il palcoscenico – che nel migliore dei casi comprende anche la platea – nei suoi risultati migliori ha saputo raccontare feroci amputazioni, altro che finte paralisi.
Teatro Nuovo di Napoli – 24.1.2009
Visto il
al
Diego Fabbri
di Forlì
(FC)