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Tim Crouch o dell'impolitico

Tim Crouch o dell'impolitico
Accademia degli artefatti , all'interno del progetto Ab-uso, continua la sua ricerca sul linguaggio teatrale attraverso due abusi: nei confronti di se stessi, degli attori, e nei confronti degli spettatori, partendo dalla constatazione che quello che succede, nella realtà come sulla scena, è tutto vero ma impreciso, è tutto falso ma reale.
   Matteo Angius  dà voce e corpo a un monologo che coinvolge lo spettatore su diversi livelli. Uno visivo, con la proiezione di immagini sul fondo della scena, classici home video che ritraggono un pre-adolescente cicciottello, che scopriremo essere il protagonista al tempo in cui iniziarono i fatti che qui si narrano. Un secondo livello visivo, perchè, durante il suo racconto il protagonista utilizza una videocamera che proietta quando riprende su uno schermo posto su un lato de la scena, dove il protagonista racconta la sua storia.  Un terzo livello registico che conduce l'attore-personaggio tra le fila della platea a parlare col pubblico chiedendo in prestito alcuni oggetti che userà come simbolo di persone e cose, in un rapporto evidentemente arbitrario e non iconico ennesimo elemento di contrasto, contraddizione e al tempo stesso atto di mostrazione degli artifici narrativi (dove tutto sembra qualcosa ma è diverso da quel che sembra) mentre annunica che, quella sera, tratterrà il respiro fino a farsi morire.
   Annuncio falso non sarà l'attore/personaggio a farlo infatti ma una sua rappresentazione (un bambolotto stile Ken,) che dovrà trattenere il fiato. Nel frattempo il protagonista ci racconta la sua storia, partita da una scommessa tenere un braccio alzato più a lungo possibile. Un gesto che porta avanti negli anni, tra una visita medica e una dallo psichiatra, mentre il braccio si atrofizza, va in putrefazione, e diventa involontario fulcro di opere d'arte,  quadri, foto, istallazioni, comprese delle fortunate conferenza-spettacolo (come si dimostra dunque essere quella cui lo spettatore astiste). Matteo Angius è bravissimo nel portare lo spetatore in uesto racconto apiù livelli, coadiuvato dagli inserti musicali di Emiliano Duncan Barbieri alla chitarra, tra riferimenti pop e sottile ironia, mentre interagisce con lo schermo alle sue spalle che proietta un altro se stesso, le immagini della videocamera davanti la qual fa muovere gli oggetti che di volta in volta rappresentano cose e persone in un gioco divertente e divertito, mentre mette a nudo i meccanismi di significazione della nostra civiltà delle immagini, del sistema di assegnazione di valore della vita umana e della significazione anche dell'arte.
   Unica pecca di questo lavoro (ma certo la responsabilità è più dell'autore del testo Tim Crouch, che di chi lo ha messo in scena così intelligentemente) la vuotezza politica di quanto si viene raccontando, dove lo sfruttamento mediatico del bambino cresciuto dal braccio marcito, i rapporti familiari, il mercato delle merci e la mercificazione delle persone e dei sentimenti, sono raccontati in chiave individuale, personale, avulsa dal contesto storico, politico e sociale, senza alcuna analisi come se la responsabilità fosse solamente dei singoli e niente affatto politica. Svuotamento imperdonabile in una macchina performativa perfetta quello del gesto teatrale come gesto politico qui relegato al suo mero ruolo di intrattenimento.

Visto il 05-09-2010
al India di Roma (RM)