Lirica
NABUCCO

Ancona, teatro delle Muse, “N…

Ancona, teatro delle Muse, “N…
Ancona, teatro delle Muse, “Nabucco” di Giuseppe Verdi NABUCCO IN CHIAVE BELCANTISTICA Nabucco è il primo, indiscusso capolavoro del giovane Verdi e anche l'opera sulle cui origini si hanno una serie di informazioni contraddittorie, messe in circolazione dallo stesso compositore. Figura di fondamentale importanza in questa prima stagione verdiana è Temistocle Solera, il cui stile melodrammatico si concretizza in intuizioni dove le parole assumono una passione trascinante e l'ansia libertaria affiora in quasi tutte le situazioni. Il dramma del popolo ebreo in schiavitù è affrontato con evidenti rimandi allo stato politico dell'Italia di allora e le invettive contro lo straniero oppressore sono evidenziate con tutta coscienza (“Nè tuoi servi un soffio accendi che sia morte allo stranier”, Zaccaria, atto primo, scena terza). Inoltre l'ambientazione nell'Oriente misterioso è coeva alla nascita dell'orientalismo nella cultura italiana. Il lavoro è originale, per la suddivisione in episodi dal titolo emblematico e per il fatto che il vero protagonista è il coro, trovata che ha un solo precedente illustre nel Mosè di Rossini (come già rilevato nel 1859 da Abramo Basevi). L'allestimento della Fondazione Teatro Regio di Torino visto ad Ancona non ne sottolinea l'effetto politico, né gli intrighi amorosi, né il carattere religioso. La regia di Daniele Abbado è poco visibile nella scarna scena di Luigi Perego incentrata su un “muro del pianto” che si sposta leggermente o viene ruotato a simulare gli interni. Una regia che, più che minimalista, è poco incisiva. Ma, a mio avviso, la cosa meno riuscita è l'ambientazione. I cantanti hanno costumi tradizionali, il coro veste abiti anni Trenta. Forse si voleva simboleggiare l'attualità di certi temi come la sofferenza del popolo ebreo, il risultato che invece si ottiene è una specie di mascherata, con il coro che assiste ad una rappresentazione ambientata in altro contesto. E se l'idea può anche apparire suggestiva, non regge in quest'opera in cui il coro ha una parte da protagonista. Ad esempio i dialoghi tra Zaccaria e gli ebrei sono incongrui proprio a causa dei costumi, come anche tutte le scene dove alcuni sparuti coristi rimangono (senza motivo) in scena, spettatori dei cantanti. Interessante la lettura del maestro Bruno Campanella, che elimina le sovrabbondanze e le nuance tardoromantiche divenute abituali a vantaggio di ritmo e sonorità tipiche del primo Verdi e della forza risorgimentale che la partitura necessariamente esprime. Però il suono dell'orchestra non è omogeneo ed il ritmo discontinuo, con notevoli imprecisioni negli attacchi. Il cast è stato scelto il linea con tale lettura belcantistica. Roberto Frontali è stato un eccellente Nabucco, padrone della scena, seppure la gestualità era fortemente limitata come gli spostamenti, ma la voce è bella e piena, senza velature, ottimamente appoggiata e sostenuta, come ad esempio del “Dio di Giuda!” del quarto atto. Di certo il suo è stato un debutto notevole nel ruolo, come quello di Dimitra Theodossiou, che, nonostante una indisposizione annunciata, ha cantato Abigaille con generosità, facendo tutto fino in fondo, anche a rischio di perdere un fiato e scendere troppo rapidamente (in un solo momento, si badi bene); intatta la sua facilità allo squillo, registri potenti e perfetti, capace di passare con estrema facilità dal canto disteso alle mezze voci, con ottime smorzature, arrivando a momenti di intenso lirismo (“Io t'amava!.. Il regno, il core pel tuo core io dato avrei”) fino all'ottima esecuzione della lunga aria del secondo atto. Enrico Giuseppe Iori, chiamato a sostituire l'indisposto Hao Jiang Tian, ha fornito una buona prova, con voce appropriata seppure non potente; buona l'esecuzione della bella aria “Vieni, o Levita!..”. Interessante la Fenena del mezzosoprano Annarita Gemmabella, voce non troppo scura ma giusta. Meno piacevole la voce metallica di Nicoletta Zanini (Anna), imbarazzante Stefano Consolini (Abdallo), debole Alessandro Guerzoni (il sacerdote). Un fatto di cronaca ha dominato la performance di Gustavo Porta (Ismaele): a un certo punto del primo atto il tenore si è accasciato al suolo privo di sensi, la recita è stata interrotta, poi, riscontrato che si era trattato di un leggero collasso, è ripresa senza di lui, trasportato all'ospedale. Fino a quel momento la performance dell'argentino era stata discutibile, ma comunque la sua assenza si è fatta sentire, seppure da lì in avanti non avesse scene importanti: la non presenza nel concertato finale del primo atto ha spiazzato tutti, rovinando l'esecuzione nel complesso; nel secondo atto le poche battute sono state urlate dal maestro del coro da dietro le quinte e tutti i cantanti hanno recitato come se il personaggio fosse momentaneamente fuori scena. Il coro è stato ben preparato da David Crescenzi ma, l'atteso “Va pensiero, sull'ali dorate”, penalizzato anche da una infelice collocazione scenica (schiacciati verso il boccascena dal muro del pianto che si sposta cigolando, senza quel malinconico paesaggio che vagheggia il suolo natìo), non ha convinto del tutto: il maestro ha scelto una versione meno sommessa, alternando in modo evidente e brusco i sottovoce ai pieni, soluzione che ha portato a tiepidi applausi. Per il resto invece pubblico eccessivamente, fastidiosamente plaudente, come a un musical con applausi alla fine di ogni aria e addirittura sopra la musica, ripetutamente. Visto ad Ancona, teatro delle Muse, il 25 febbraio 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Politeama di Catanzaro (CZ)