Lirica
NABUCCO

Il Nabucco di Proietti tra luci ed ombre

Il Nabucco di Proietti tra luci ed ombre
Parlare di uno spettacolo come il "Nabucco" di Giuseppe Verdi andato in scena al Teatro Politeama di Catanzaro nell'allestimento del Verdi di Salerno e dello stesso Politeama, significa dover affrontare l'argomento secondo due linee: la prima è la mera cronaca con tutto ciò che comporta l'arrivo di nomi altisonanti quali quelli di Daniel Oren, Renato Bruson, Gigi Proietti e Quirino Conti in un teatro giovane - soli 8 anni - di una piccola provincia meridionale, la seconda è quella dello spettacolo in sé, con un'analisi di ogni suo aspetto. L'emozione di una città che si è posta di fronte alla prova con entusiasmo, accogliendo in maniera trionfale i protagonisti dell'opera e tributando loro una lunga standing ovation in chiusura, insieme ai fasti che hanno circondato l'arrivo in città di un simile allestimento non sono riusciti a coprire le mancanze e gli acciacchi di cui questo Nabucco ha evidentemente risentito. La scelta di Proietti, che ne ha curato la regia, è caduta sul minimalismo - che può piacere o meno, i gusti non sono mai obiettivi -: con gli ambienti solo accennati e qualche apporto filmico sullo sfondo, il centro dell'attenzione, almeno visiva, andava a concentrarsi molto sui costumi sulle cui stoffe gravava il peso dell'intero allestimento. Molto basato sulla contrapposizione interna alle parti in cui il coro è diviso già nel libretto, lo spettacolo ha fatto leva sulla condizione spirituale dei personaggi: gli ebrei sono bianchi con taglio marmoreo, puri, i babilonesi neri e risorgimentali - segno della corruzione dell'anima, sempre più viva con il passare dei secoli e avvertita già all'epoca di Verdi - ed infine i soldati guidati da Abigaille e Nabucco di un rosso porpora che segna l'impeto e la sfrontatezza del loro ingresso in Gerusalemme. Molto belli e dettagliati i costumi - menzione d'onore per quelli di Abigaille, tutti -, semplice e versatile la scenografia. Una immensa scalinata occupava l'intera scena, capace di contenere liberamente il numeroso - ma non troppo - coro; unico elemento scenico era una Menorah gigantesca che poi diventava immagine e fiamme e fuoco al momento della "presa" di Nabucco e dei suoi. Azzeccata anche la proiezione delle "ale dorate" che scivolano sull'acqua - proiettata anche questa - sullo sfondo, sugli accordi del "Va' pensiero". Particolarmente bello, poi, il quadro della prima scena della seconda parte con Abigaille a stagliarsi contro un cielo nuvoloso. Unica pecca: tutto l'impianto è stato pensato per il Teatro Verdi di Salerno - dove si è tenuta la "prima" -, quindi più piccolo rispetto al palcoscenico catanzarese. E per questo è stato rimaneggiato, comportando una chiusura quasi a scatola dell'intera scena. Conclusione: molti degli spettatori delle postazioni laterali hanno potuto vedere poco e godere ancora meno dello spettacolo, ma erano stati avvisati già in biglietteria al momento dell'acquisto. Sempre utili e azzeccati i sopratitoli curati dalla Eikon: facilitano la comprensione dello spettacolo, rendendolo accostabile anche ai più. Passando all'aspetto musicale va fatta una premessa, quella secondo cui Daniel Oren è capace di fare cose grandiose ma che per i miracoli deve ancora attrezzarsi: i suoi consueti mugugni, sospiri, saltelli, urli quasi rivolti a musicisti e cantanti - è noto per la sua spettacolarità nella direzione - non sono bastati a rendere un suono compatto da parte dei primi e a dare potenza e personalità ai secondi. La Filarmonica Salernitana è sembrata in più e troppi tratti scollata e in maniera evidente fin già dall'introduzione dell'opera, fatta di un'alternanza di tempi lenti e vivaci con cui Verdi propone, con intensità crescente, le citazioni dei temi portanti. Nel corso delle quattro parti, poi, non sono mancati discontinuità con i cantanti e qualche disordine qua e là. Probabilmente il "danno" è riconducibile alla giovanissima età dell'organico orchestrale - a parte una manciata di casi, formato da trentenni - e, ancora più probabilmente, al numero ridotto di questi a causa dei soliti spazi ristretti offerti dall'angusto golfo mistico del Teatro Politeama. Il risultato ha compromesso, purtroppo, l'intera riuscita dello spettacolo: della forza espressa da Giuseppe Verdi, ben poco riusciva ad arrivare alle poltrone. Chi aveva assistito alle prove generali sa bene che il lavoro del direttore israeliano già allora si presentava arduo e pieno di ostacoli: chapeau al grande maestro per il risultato comunque ottenuto. Dolente nota che supera di gran lunga la "questione orchestra" è il Coro. Il Nabucco è un'opera corale, dove è la gente, il popolo ebraico e babilonese ad essere il vero protagonista: tutta la spinta drammatica, a parte i casi di Abigaille e Nabucco, è completamente determinata dalla presenza e possenza della massa, ossia del coro. Quello diretto dal maestro Luigi Petrozziello è sembrato disomogeneo nelle sezioni e la conferma è arrivata, purtroppo, proprio nel "Va' pensiero": il coro per eccellenza dell'intera produzione operistica italiana si appoggia inesorabilmente sui bassi. Che qui scarseggiavano. L'esito è stato quello di un inno risorgimentale fiacco e scolorito. Ma, l'entusiasmo di sopra dei catanzaresi ne ha nascosto le imperfezioni e a gran richiesta il maestro Oren ha concesso del "Va' pensiero" il bis di routine. Se però alla prima, di fronte alle richieste di una terza replica, il maestro Oren ha fatto finta di niente, per la seconda recita ha optato per una scelta più sorniona: il bis è stato un "Va' pensiero" riveduto proprio in virtù delle assenti voci maschili, e addizionato con dei pianissimi finali sostenuti magistralmente dalle sezioni femminili. Lì, il secondo bis è stato concesso. Andiamo ai solisti: grande onore al baritono Renato Bruson, che con la sua sola presenza scenica ha fatto dimenticare tutto il resto, leggenda della lirica italiana che non ha bisogno di commenti o presentazioni, ma che da parte del pubblico meritava un'ovazione più sentita. Poco convincente la Abigaille del soprano Paoletta Morrocu - in sostituzione di Dimitra Theodossiu, annunciata fino a un paio di giorni fa -, che, sbavature a parte, non è sembrata rendere in pieno l'impeto e la sete di vendetta di uno dei più passionali personaggi d'opera, se non attraverso una mimica molto pronunciata. Molto bravo il basso Vitalij Kowaliov che nonostante una leggera indisposizione annunciata ha ben saputo portare a termine il proprio compito nel ruolo di Zaccaria. Buona l'interpretazione di Nazzareno Antinori (Ismaele), Carlo Striuli (sacerdote di Belo), Vincenzo Peroni (Abdallo) e Paola Francesca Natale (Anna). Unica nota per la Fenena del soprano Eufemia Tufano la cui voce, seppur gradevole, è parsa avere difficoltà nel raggiungere la sala.
Visto il 06-01-2010
al Politeama di Catanzaro (CZ)