Il Comunale di Firenze propone, in attesa del Maggio, una mini-stagione di tre titoli che si è aperta con il Nabucco di Leo Muscato vincitore del premio Abbiati 2012 per la migliore regia. Più volte abbiamo sostenuto, con convinzione, simili operazioni. E, in questo caso, lo facciamo con ancora maggiore forza. Lo spettacolo era andato in scena soltanto in Sardegna, coprodotto da un ente lirico e da un teatro di tradizione, il teatro Lirico di Cagliari e l'Ente concerti Marialisa De Carolis di Sassari. Orbene, non solo in tempi di spese contenute, era assurdo non circuitare un lavoro giudicato il migliore dell'anno e a Firenze hanno fatto di necessità virtù proponendolo come titolo inaugurale.
Leo Muscato è regista che viene dalla prosa e si è da sempre rapportato con la lirica in modo profondamente sensibile e intelligente: da un lato mostra grande rispetto per la musica e il libretto, dall'altro evidenza aspetti contenutistici ponendoli sotto la lente di ingrandimento con un'attenzione e una dedizione che trasforma i cantanti in attori esaltando il canto e la partitura.
In questo caso la chiave di interpretazione è già nella scenografia di Tiziano Santi. Alti muri di pietra di caldo colore aranciato percorsi da buchi come corrosi da tarli, fessure che lasciano passare la luce e consentono di guardare oltre: la vita ci chiama a prove terribili e decisive ma sempre ci permette di verificare che un altrove non solo è possibile ma è a portata di mano, oltre il muro, a brevissima distanza. Basta volerlo. Così si sprigiona massima la forza del “Va' pensiero” in cui si mescolano la potenza della Fede e la ricerca di un futuro migliore che è, giova ricordarlo, prossimo. La scatola scenica assume connotati diversi a seconda del luogo: un bunker per gli ebrei, rischiarato dal fuoco come segno della presenza del divino; un interno che denota una ricchezza non sfarzosa ma essenziale per i babilonesi. Efficacissimo e pieno di significato l'apparire di Nabucco: il muro di fondo si spacca a metà e svela un retro-spazio immenso e vuoto, dove c'è solo Nabucco con alle spalle una cortina di fiamme guizzanti, primo segno della commistione tra potere politico e potere religioso, il re che si crede onnipotente, il re che si fa dio.
I costumi di Silvia Aymonino mantengono l'ambientazione storica e individuano per masse cromatiche i gruppi etnico-religiosi: bianco-marrone per gli ebrei, rosso-aranciato per i babilonesi. Le armi sono archi e frecce a indicare che le parole e le decisioni uccidono più degli strumenti tradizionali di offesa. Le corde avvolgono i polsi dei prigionieri e li avvinghiano uno all'altro in una catena umana di sofferenza.
Risultano essenziali e risaltano particolarmente le luci di Alessandro Verazzi che contribuiscono a rendere la rappresentazione verista e, al tempo stesso, ammantata di simbolismo, come una vicenda paradigmatica. Nel deserto si tingono di arancio polveroso, in altri momenti passano dal bianco abbacinante al confortevole giallo, senza mai dimenticare di sottolineare gli interventi solistici o di avvolgere coro e comparse.
La regia muove abilmente il coro e per i protagonisti si confronta con le singole individualità: perfetto l'inizio, con la massa percorsa da fremiti e movimenti non allineati a dimostrare un tumulto interiore che si riversa nel gruppo codificato e ne determina il comportamento complessivo. Muscato parte da dentro per arrivare fuori. Identificata la cifra stilistica dell'apparato scenotecnico, ne consegue che il tema che il regista enuclea è la Fede: la perdita, la ricerca, la conquista della Fedem declinata anche in modo laico come quegli ideali risorgimentali che Verdi sosteneva e che sono inscindibili dalla sua musica dell'epoca. Perfetto ed emozionante il Va' pensiero: il muro di fondo si solleva e il popolo entra, fermandosi in proscenio con una composizione a onda, non statico, non dinamico, il moto è interiore e, in questa scena, se ne percepisce un pallido riflesso esteriormente.
Insomma una regia da mettere “sul trono” per la chiarezza espositiva e le emozioni che regala agli spettatori sia nel rilevare significati che nella limpidezza dell'impianto (ad esempio il battesimo di Fenena, che si impone come un rilievo di classica plasticità).
Renato Palumbo concerta in modo personale e con scelta di tempi non omogenea: ad alcuni momenti serrati ne seguono altri allargati non necessariamente per assecondare il canto o l'azione. Il suono è pulito e ricco di cromatismi, confermando il livello altissimo dell'orchestra del Maggio. Resta memorabile l'esecuzione musicale del “Va' pensiero” in volume assai contenuto e con un finale lunghissimo, come se le note dovessero pian piano, naturalmente, sfaldarsi nel cuore degli spettatori grazie ai tempi dilatati. Bis non solo di prammatica.
Dalibor Jenis è generoso nel ruolo del titolo e ha voce di bel colore; si è apprezzata l'impronta giovanile e barbarica del personaggio anche se non coglie gli aspetti più maturi e pieni di Nabucco ma ben sottolinea gli accenti del ripiego interiore più che la forza dell'inizio, dove appare in una solitudine totale e immodificabile; commovente la sua “resurrezione” al pronunciare la parola perdono che lo riporta all'integrità fisica, per lungo tempo (e in modo attorialmente incisivo) castrata da un'emiparesi. Luciano Ganci ha voce precisa e luminosa e il suo Ismaele convince oltre gli stereotipi del ruolo. Riccardo Zanellato è un possente Zaccaria per vocalità e presenza ieratica. Anna Pirozzi è Abigaille, potente come un'amazzone della classicità greca vicina a Pentesilea, vocalmente solida in acuto e corposa nel grave, svettante nel medio accompagnato da un'attorialità ferinica assai curata (geniale l'idea di accompagnare l'aria “Anch'io dischiuso” con una bambina che gioca vestita come la cantante, l'innocenza dell'infanzia avvicinata all'amore totale. Annalisa Stroppa dimostra che Fenena non è solo un ruolo di contorno per la pulizia e la precisione della sua esecuzione. Brava Valeria Sepe nel ruolo pur marginale di Anna. Con loro Dario Russo (Gran Sacerdote) ed Enrico Cossutta (Abdallo). Ottima la prestazione del coro del Maggio, qui vero protagonista, preparato da Lorenzo Fratini: un coro vivo, vitale, vibrante, eccellente dal punto di vista vocale e padrone della scena.
Teatro gremito, pubblico attento ed entusiasta, prolungati applausi per tutti.