Regia che punta al sodo, quella della Mazzavillani Muti, che non cerca orpelli inutili ed offre un andamento linearmente descrittivo. Ma che pure non rinuncia a insinuare forti emozioni al suo pubblico,
Partire dal primo Verdi per arrivare all'ultimo: questo lo spunto della Trilogia d'autunno del Teatro Alighieri di Ravenna, che colloca Nabucco nella prima delle sue tre giornate, Otello nell'ultima. E Rigoletto nel mezzo.
Comune a tutti i tre titoli, la regia e l'ideazione scenica di Cristina Mazzavillani Muti, la presenza dell'Orchestra Giovanile Cherubini, compagine sempre mutevole ma sempre ammirevole per freschezza di suono e precisione (per forza, sta sotto l'ala protettrice di Riccardo Muti) ed il Coro Lirico Marchigiano, che da quando è passato nelle mani di Martino Faggiani ha compiuto un vistoso salto di qualità.
Regia forte e emozionale
Regia che punta al sodo, quella della Mazzavillani Muti, che non cerca orpelli inutili ed offre un andamento linearmente descrittivo. Ma che pure non rinuncia a insinuare forti emozioni al suo pubblico, e ad appagarne l'occhio con sapienti tocchi di colore e qualche accenno d'esotismo, accentuato dai raffinati costumi di Alessandro Lai. Il quale, una volta tanto - gliene siamo grati - non ci presenta gli Ebrei vestiti di stracci. Spettacolo ricco, seducente, appassionato, anche per il fondamentale contributo di Vincent Laguemare e Davide Broccoli – rispettivamente light designer e visual designer – che con l'ausilio di Paolo Micciché realizzano una lussureggiante trama visiva, edificata su diafane ed allusive video proiezioni. E dove troviamo ben inserite le coreografie eseguite dalla compagnia Danz'Actori.
Vediamo le voci...
Il trentenne baritono romeno
Serban Vasile col suo Nabucco prende subito possesso della scena: possiede un bel colore di voce, in felice equilibrio fra chiaro e scuro, beneficato da una robusta colonna di fiato, e si mostra preciso ed incisivo nel fraseggio. Insomma il personaggio, nel suo gradiente - dall'arroganza iniziale al ripiegamento nell'umanità dolente di «Dio di Giuda!», appare centrato in pieno. Nelle vesti di Abigaille troviamo il giovanissimo soprano Alessandra Gioia: prodiga di temperamento, ben calibrata nel registro mediano, svela solo qualche asprezza nei repentini saliscendi del pentagramma, e qualche penuria nei gravi che però possiedono una bella brunitura.
Comunque lo stile verdiano c'è, ed è ben dispiegato; ed anche qui, senza dubbio, la fierezza del personaggio c'è tutta. Evgeny Stavinski infonde sacrale enfasi al suo Zaccaria, che si staglia con notevole autorevolezza vocale. Il giovane tenore triestino Riccardo Rados è un Ismaele generoso ed irruente, mentre Lucyna Jarząbek ricama una delicata, eterea Fenena; ineccepibili nel loro lavoro Giacomo Leone (Abdallo), Renata Campanella (Anna), Ion Stancu (Sacerdote di Belo).
...e l'orchestra
La direzione di Alessandro Benigni individua nell'incalzante pulsione ritmica, nella ricerca di forti contrasti, nello scultoreo fraseggio orchestrale la sua cifra distintiva. Forse tralascia qualche dettaglio, forse qualche finezza si perde per strada, ma nel suo insieme coglie appieno il senso della partitura, e lo spirito del Verdi ancor giovane, veemente e combattivo. E così, nel suo dipanarsi, sapientemente assecondata da orchestra e coro, sa suscitare intense emozioni nell'ascoltatore.