Dopo il "Rigoletto" di due anni fa e la "Lucia di Lamermmor" dell'anno scorso, in questo scorcio di 2012 Stefano Poda ha affrontato per il circuito Li.Ve. (Comune di Padova per il Teatro Verdi, Comune di Bassano per l'Opera Estate Festival, Comune di Rovigo per il Teatro Sociale) il "Nabucco" verdiano, ossia una di quei lavori che maggiormente scatenano la fantasia di registi e scenografi. In realtà, rispetto ad altre sue immaginifiche realizzazioni in campo lirico, in questa occasione l'artista trentino è parso insolitamente sobrio, pensando un palcoscenico racchiuso tra scabre, alte muraglie, con tante piccole aperture quadrate dalle quali penetrano potenti squarci di luce. Fasci luminosi freddi e in continua mutazione, che fendono una tenebrosa oscurità che avvolge e confonde i personaggi tutti vestiti uguali, siano ebrei od assiri, popolo o soldati, uomini o donne, tutti con camice lordate di terra e di sangue, senza avere nulla in mano né incontrare alcun oggetto sulla scena. Scansando la solita contrapposizione oppressi/oppressori declinata nei più vari modi - italiani/austriaci, ebrei/nazisti, e via di questo passo - Poda rinnega le divise, le armi in pugno, persino i segni di potere. Al massimo, mette un nero soprabito di pelle a Nabucco, Abigaille, Fenena, Abdallo, spiegando la sua scelta con la motivazione che «il dissidio, la paura del diverso, l'antitesi non opprimono più genericamente un "popolo", ma l'individuo: buoni e cattivi sono la stessa persona in punti diversi del suo percorso», come chiarisce nelle note di regia.
Naturalmente non manca almeno un tratto di provocazione visiva, come sempre accade con questo controverso artista, coincidente qui con quell'elemento scultoreo, generalmente di forte impatto monumentale, che caratterizza tutte le sue scenografie. In questo contesto ecco incombere tetre file di macabri corpi mummificati, tutti eguali, tutti appesi a testa in giù al soffitto, a rappresentare altrettante immagini speculari «dell'anima nuda e silente di ognuno dei personaggi». E' un insieme di assunti, quelli raccolti da Poda per questo "Nabucco" aspro e severo (e per nulla facile, diciamolo) che si possono condividere, oppure no. Ma possiedono però un loro senso, che giustifica una regia forte e esaltata, ed hanno avuto il merito di scuotere e suscitare molte discussioni nel pubblico presente. Da parte mia, voglio essere sincero: il parere sulla riuscita complessiva potrebbe essere più affermativo, se non aleggiasse l'impressione del dejà-vu, del collage di trovate sceniche e registiche già viste qua e là in altri teatri.
Ma ora passiamo alla musica, che ho sin qui trascurato. L'orchestra era quella del Teatro Verdi di Trieste, con l'evidente dono dell'ubiquità dato che, nella stessa serata, andava in scena nella sala giuliana il "Barbiere di Siviglia" diretto da Corrado Rovaris. Facile dedurre che la compagine strumentale si è sdoppiata, con aggiunta di qualche elemento di rincalzo per arrivare ai ranghi desiderati; ma pure era evidente che non eravamo sempre all'altezza dei consueti standards di eccellenza. Per fortuna Rossini nel suo capolavoro non prevede un coro in scena, così che il Teatro Verdi ha potuto inviare a Bassano la sua formazione corale al completo, comportatasi - questa sì - in maniera egregia. Cosa strana: il pubblico del PalaBassano, sin troppo generoso di applausi che intervenivano anche a sproposito, si è lasciato scappare l'occasione di un tradizionale bis dopo la felice esecuzione di "Va' pensiero" da parte dei cantori triestini.
Sia come sia, ad ogni modo podio direttoriale Antonello Allemandi ha saputo offrire una direzione di considerevole livello, con tempi giusti e concertazione sensata, proponendo un penetrante percorso narrativo pur nella non facile lettura di un'opera accidentata come poche altre (viene in mente "I Lombardi alla prima crociata", altra opera che procede per così dire a zig-zag). Nondimeno, mi pare che qualche guizzo prepotente, qualche accensione rovente - siamo nel pieno del Verdi giovanile e risorgimentale, che diamine - non avrebbe certo guastato alla resa complessiva.
Il ruolo del protagonista era affidato al baritono messicano Carlo Almaguer, il quale ha messo in campo il giusto mix di tecnica, bel fraseggio, prepotente vocalità omogenea in tutta la gamma, e una salda presenza scenica. Il suo Nabucco scaturiva elettrizzante, tutto ben scolpito, teatro di parola e teatro di musica al tempo stesso. Schiacciante il confronto con l'inconsistente Abigaille del soprano romeno Sorina Monteanu, debole nell'emissione, vuota nel registro grave, di poca sostanza nell'acuto; e drammaturgicamente decisamente incolore. Le reprimende di Zaccaria erano affidate al basso venezuelano Ernesto Morillo, decoroso professionista; apprezzabile la Fenena di Romina Tommasoni, dolcemente espressiva; Ismaele era Armaldo Kllogjeri, il quale darebbe risultati migliori se al franco spirito tenorile - qui non si discutono le indubbie doti - si affiancasse una più limpida scansione della parola. Bene l'Abdallo di Massimiliano Chiarolla, a posto il Gran Sacerdote di Christian Faravelli e l'Anna di Silvia Celadin. Alcuni spiacevoli episodi di 'fuori tempo' - episodi incresciosi e ben avvertibili - fanno dubitare del buon dialogo acustico tra scena e buca orchestrale, in uno spazio non proprio ideale quale può essere il vasto PalaBassano.
Questo "Nabucco" approderà al Teatro Verdi di Padova il 23 e 27 dicembre, e poi al Teatro Sociale di Rovigo il 15 e 17 febbraio 2013, ma con qualche variante nel cast. In questo contesti il concertatore sarà infatti Antonio Pirolli, mentre i ruoli di Nabucco e Zaccaria spetteranno rispettivamente a Marco Caria e Riccardo Zanellato.
Lirica
NABUCCO
NABUCCO EGUALITARIO
Visto il
al
CMP Arena
di Bassano Del Grappa
(VI)